Il report gratuito di Financial Markets LAB!

Si chiama Financial Markets LAB Newsletter ed è il mio report GRATUITO di ricerca ed analisi in materia di investimenti sui mercati finanziari contenente notizie, commenti, curiosità ed approfondimenti sull'andamento dei principali mercati finanziari.

Puoi riceverlo nella Tua mail mandando una richiesta all'indirizzo:

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AUTORIZZAZIONE AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI INFORMATIVA AI SENSI DELL'ART. 13 DEL D.LGS 196 DEL 30 GIUGNO 2003 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali) - Il blog Financial Markets LAB desidera informare i propri lettori, ai sensi dell'articolo 13 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che i dati personali che li riguardano, raccolti in occasione della sottoscrizione della Financial Markets LAB Newsletter gratuita, saranno oggetto di trattamento ai sensi della legge sopraindicata. Si leggano a questo proposito i dettagli riportati nello spazio apposito, intitolato Privacy, in questa stessa pagina.


sabato 31 dicembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Statistiche per il 2012

L'ultimo post del 2011 lo utilizzo per fare due cose; innanzitutto, ringraziare le centinaia di lettori che mi hanno seguito in questo 2011 tumultuoso; il vostro affetto mi ha permesso di consolidare l'idea che ruota attorno al progetto Financial Markets LAB e mi ha fornito nuovi spunti di riflessione sia per i post scritti che per i numeri della Newsletter. In secondo luogo, voglio fornirvi alcuni numeri relativi alla borsa Usa come spunto di riflessione per l'inizio del 2012:
1) 14 degli ultimi15 anni pre elettorali hanno seguito la direzione che il mercato ha intrapreso nel primo mese dell'anno (January effect); il mese di gennaio, pertanto, rimane un test importante per tastare il polso delle attività rischiose;

2) Dal 1950 ad oggi tutte le volte che l'indice S&P500 ha riportato un risultato negativo in gennaio, è iniziato o è proseguito un bear market, una correzione del 10% o, nella migliore delle ipotesi, un mercato laterale;

3) 12 degli utlimi 15 anni pre elettorali hanno rispettato la direzione che il mercato azionario aveva intrapreso nei primi 5 giorni dell'anno;

4) il gennaio 2009 ha rappresentato il peggior gennaio di sempre in termini di andamento per l'indice S&P500.
A tutti gli amici del blog rinnovo il mio sincero augurio di buon 2012!

sabato 24 dicembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

E' partito il rally di Natale? E' cambiato lo scenario di fondo sui mercati finanziari?
A queste domande cerco di rispondere nel nuovo numero appena uscito della ormai mitica Financial Markets LAB Newsletter

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - AUGURI!

Auguro a tutti i Lettori del Blog di trascorrere un sereno Natale e che il 2012 sia un anno pieno di sorprese positive!
Buon Natale e Buon 2012!!!

mercoledì 7 dicembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Stagionalità

Sto ultimando un nuovo numero della Financial Markets LAB Newsletter che uscirà a breve; nel frattempo posto qualche statistica storica riguardo il mese di dicembre che mostra come sia confermata la tradizione positiva per l'azionario soprattutto quando il mese precedente (novembre) è stato negativo. I dati sono relativi alle azioni Usa, ma, ovviamente, hanno validità generica per formulare un giudizio di insieme sull'asset class equity.


Ovviamente, al di la della curiosità delle statistiche storiche, che, come sapete, guardo sempre con estremo interesse, il mio giudizio sull'azionario rimane sempre estremamente prudente.
Non perdete pertanto la mia prossima Newsletter.

mercoledì 9 novembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Economia di guerra

Lavoro oramai da qualche lustro sui mercati finanziari e posso affermare che questo inizio di novembre è stato uno dei periodi più brutti che abbia mai vissuto come operatore, come investitore e, soprattutto, come italiano.

Gli asset italiani sono sotto attacco e questo fatto è chiaramente sotto gli occhi di tutti; ai confini dell’impero romano le orde barbariche stanno premendo per l’invasione. Si perché per chi non lo ha ancora capito siamo in guerra, un’economia di guerra; una guerra combattuta senza sparare un solo colpo di arma da fuoco ma pur sempre una guerra estremamente spietata. Il fronte è quello economico-finanziario, dei nostri risparmi, di denaro accumulato spesso con sacrifici e investito in titoli di stato italiani considerati sicuri.
Purtroppo, in un'economia di guerra di sicuro non c’è più nulla (a parte l'oro); dov’è lo strumento finanziario risk free? Dov’è il tasso privo di rischio della Teoria del Portafoglio di Markovitz che abbiamo studiato all’università? Non esiste più: è questa la dura realtà con cui noi investitori dobbiamo confrontarci.
In questa guerra, poi i nostri nemici sono dietro l’angolo come cecchini; si confondono con chi dovrebbe essere tuo alleato e invece rema contro pugnalandoti alle spalle. Come ad esempio la coppia Merkel-Sarkozy che, ammantando il loro agire con la scusa di difendere l’euro, ci stanno affossando perchè la verità è che pensano solamente all'interesse della propria parrocchietta. Che dire ad esempio dei nuovi parametri che le banche europee dovrebbero rispettare e dei capitali necessari? Mi sarei atteso che le banche messe peggio fossero quelle più piene di titoli greci (quindi le banche francesi e tedesche) e che pertanto, fossero loro a necessitare di maggiori capitali; e invece no; l’accoppiata Merkel-Sarkozy è riuscita a far passare il principio che impone un maggiore approvvigionamento di capitale fresco proprio alle banche italiane.
Non è un rompicapo ma lo sembra: ci sono quattro banche italiane, valgono 22 miliardi in totale ed entro sette mesi devono trovarne altri 14,77 se non vogliono finire in braccia indesiderate (in ordine decrescente di chance la mano pubblica, il fondo Efsf, un concorrente). Entro giugno 2012 l’enigma va risolto, perché l’Eba, in combutta con le lobby creditizie francesi e tedesche, ha stabilito le nuove misure di rafforzamento patrimoniale penalizzando fortemente gli istituti italiani più tradizionali; e cosa dire di Christine Lagarde, che si permette di parlare di mancanza di credibilità dell’Italia, che è senz’altro un affermazione vera, ma che detta dalla Lagarde suona paradossale. Evidentemente ha ancora qualche difficoltà a dismettere i suoi recenti panni di ministro economico di un Paese che sotto la sua guida ha accumulato un deficit doppio di quello italiano, con le banche francesi che si riempivano di titoli pubblici altrui, greci soprattutto.
Per aiutarla a essere più prudente nei suoi giudizi le consiglio di dare un’occhiata ad alcuni dati: per il 2010 il rapporto deficit/Pil dell’Italia è stato del 4,6%, quello della Francia è stato invece del 7,1%. Tra il 2008 e il 2010 in Italia il rapporto debito/pil è inoltre cresciuto di 12,7 punti percentuali, contro i 14 della Francia.
Cosa dire poi della nostra classe dirigente?! Sono convinto che la maggior parte di questa gente (politici in testa) verrà spazzata via da questa tempesta sia essa al governo o all’opposizione perché si sta rivelando totalmente incapace di gestire questa grave situazione. I partiti poi, sono impegnati a difendere il proprio consenso elettorale invece di salvaguardare gli interessi del paese a cui appartengono.
Mentre la curva dei rendimenti dei titoli di stato italiani si inverte (detto in soldoni, un titolo a breve scadenza rende di più di un titolo a lunga scadenza) i politici italiani si azzuffano nelle varie trasmissioni televisive incolpandosi a vicenda della crisi economica; a questa situazione, dal mio punto di vista c’è solo una risposta: un governo tecnico che metta i conti al sicuro della zattera italiana dando subito corso alle riforme lacrime e sangue e che definisca una nuova legge elettorale. Solo un governo tecnico potrà avere la capacità di ragionare "fuori dagli schemi" lobbystici dei partiti tradizionali affrontando alla radice i problemi economici più urgenti. Nella situazione di queste ore il tempo diventa la variabile principale di cui tener conto; non ci sono se o non ci sono ma. Gli investitori italiani hanno bisogno di fatti e immediatamente per mettere al sicuro i propri risparmi.
La spirale del debito italiano si sorregge su tre elementi: tassi di interesse di mercato, tasso di crescita nominale e avanzo primario; ebbene per mantenere un rapporto debito/pil stabile (al 120%) a questi livelli di tasso di mercato (7.5%) occorrerebbe una crescita dell’avanzo primario del 6% ma questo ipotizzando una crescita ottimistica del 2.5%; se invece ipotizzassimo una crescita nulla (come è piu probabile in un contesto di forte rallentamento come quello attuale) sarebbe necessario un avanzo primario del 9% solo per mantenere il rapporto debito pil stabile al 120%. Queste due ipotesi sono visibili nei due grafici che vi allego.



Se poi aggiungiamo le considerazioni che tutte le casse di compensazione e garanzia stanno aumentando i margini sui titoli di stato italiani e che sull’interbancario un amico tesoriere stamattina mi confermava una situazione che si trascina da settimane e cioè che le banche non si prestano più denaro tra loro perché non si fidano l’una dell’altra, allora il quadro è davvero quello di un'economia di guerra!
E la Bce? Beh devo dire che l'avvento di Draghi ha smosso qualcosa; tuttavia non basta un taglio dei tassi ma è indispensabile che draghi annunci al mercato che la Bce è pronta ad un QE in stile Usa, proponendosi ad acquistare in modo ILLIMITATO il debito dei Paesi in difficoltà.
E ovviamente in un contesto in cui la Banca Centrale gonfia il proprio bilancio con l'acquisto di titoli l'unico re degli investimenti è e rimane il metallo giallo come si vede dal seguente grafico.


Per il momento è tutto; da Radio Londra passo e chiudo.

martedì 1 novembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - La ripartizione del debito in Europa

Diversi Lettori mi hanno chiesto di quantificare la ripartizione del debito tra i vari Paesi dell'area Euro.
Ecco un grafico che può rispondere a questa domanda.

domenica 30 ottobre 2011

sabato 22 ottobre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Il dilemma della recessione

Leggendo quà e là vedo che il dibattito tra sostenitori della recessione imminente delle economie occidentali e sostenitori del soft landing non accenna ad esaurirsi. Lavorando da tanti anni nell'ambito dei mercati finanziari in qualità di portfolio manager non sono stupito nel leggere certe affermazioni nette; mi riferisco ad esempio a quella del capo dell'ECRI che solo alcuni giorni fa ha ribadito che, stando ai dati in possesso del suo istituto di ricerca, la recessione in Usa è praticamente certa. Per quella che è la mia esperienza diretta posso dirvi che nessuno ha la verità in tasca e pertanto nessuno potrà mai affermare con assoluta certezza che una recessione economica sia imminente. Per quello che mi riguarda, personalmente mi baso su dati oggettivi rappresentati dagli indicatori anticipatori e coincident dei cicli economici e dal comportamento intermarket di una molteplicità di variabili di mercato (materie prime, tassi di mercato, pendenze delle curve dei rendimenti, etc.)
In questo post voglio soffermarmi con Voi su alcune importanti considerazioni; vediamole nell'ordine, tanto per cercare di essere il più chiari possibile anche nei confronti di chi (e sono tanti i lettori del blog) mastica poco la materia economico finanziaria.
1) Tanti indicatori anticipatori del ciclo economico ci stanno segnalando la possibilità di un brusco rallentamento delle economie occidentali (Usa e area Euro in primis);
2) Molti indicatori intermarket ritardati (cioè che manifestano un segnale di conferma della negatività in essere dell'economia e dei mercati azionari) stanno fornendo brutti segnali; mi riferisco in particolare al rapporto (forza relativa) tra prezzi del rame e prezzi dell'oro, piuttosto che al recente andamento dell'argento;
3) Gli indicatori macroeconomici coincident che usualmente guardo non hanno ancora fornito il segnale che stiamo entrando in recessione.
Tirando le somme di questa brevissima chiacchierata sono ancora dell'opinione che l'economia Usa è in una fase di rallentamento e di crescita al di sotto del potenziale ma non è in una fase di imminente recessione.
Quali sono le conseguenze per le nostre scelte di investimento?!
Le stesse che ho già ribadito nel post precedente (leggetelo se non lo avete già fatto); se nella settimana entrante dovessero giungere buone notizie riguardanti il salvataggio delle banche europee (attraverso operazioni di ricapitalizzazione del sistema) o riguardo i Paesi più fragili dell'area Euro, potrebbe partire un mini rally che personalmente considero di breve durata (da qualche giorno a qualche settimana). Tutto ciò non muterebbe lo scenario di fondo che si sostiene ancora su basi estremamente fragili a causa, principalmente, del gravoso processo di deleveraging del sistema economico-finanziario che è ben lungi dall'essere terminato.
A breve farò uscire un nuovo numero della Financial Markets LAB Newsletter, tempo permettendo.
Stay tuned

sabato 3 settembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Cronache dal fosso di Helm

L’assedio degli orchi ai bastioni del fosso di Helm continua senza sosta; oramai solo l’arrivo di Gandalf potrà salvarci; le forze sono allo stremo e mancano idee per fronteggiare questa grave situazione; anzi, le poche idee sono confuse e vengono cambiate in continuazione creando ancora più confusione nella battaglia per la difesa dei bastioni……


No signori, non è un estratto de “Il Signore degli Anelli” ma è la triste parodia in cui versano le economie occidentali. Usa ed area Euro sono sotto assedio e che qualcuno non mi venga a raccontare che questo è un problema della Grecia o dell’Italia. Sono anni che dalle pagine di questo blog e nelle mie Newsletter denuncio la grave situazione in cui versano tutte le economie che negli ultimi 15 anni hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità inondando il sistema economico-finanziario di carta e, soprattutto, di debito. Ora siamo alla resa dei conti ma il tempo che rimane non è più tanto e, soprattutto, non possiamo più permetterci di usare le solite armi per la difesa del fosso di Helm. Basta con le politiche di Quantitative easing che continuano a gettare liquidità nella mischia alimentando nuove bolle sui prezzi degli asset finanziari. Anche le attese che si erano alimentate per l’incontro di Jeckson Hole le reputo totalmente fuori luogo. Mettiamoci in testa che le Banche Centrali hanno fatto (MALE) quello che dovevano fare e ora tocca alle riforme strutturali che paesi come Stati Uniti o l’Italia devono assolutamente attuare. Ma manca il coraggio perché abbiamo delegato il nostro futuro e quello dei nostri figli ad una classe politica collusa ed incompetente; e se in Italia le cose vanno male non mi dite che in Usa stanno bene; Obama si è rivelato una vera e propria delusione in quanto non è riuscito a mettere a tacere le lobbies di cui è schiavo e non ha attuato le riforme che la gente gli chiedeva. Questa volta le cose appaiono molto più gravi rispetto alla partenza dei bear market sull’azionario nel 2000 e nel 2007 per una semplice ragione: manca la fiducia; in altre parole gli investitori non danno credito alle armi di cui dispone ad esempio la Fed; e come si può dar torto a chi la fiducia non ce l’ha? Guardando agli effetti sulle performance degli asset finanziari delle precedenti politiche di QE (1 e 2) risulta palese come nel QE 2 i benefici sono risultati estremamente limitati rispetto al QE 1. Il corpo malato dell’economia si è assuefatto alla medicina indotta dalle Banche Centrali. E’ come se prendi sempre antibiotici: alla fine il loro effetto benefico si ridurrà. In un contesto di questo tipo il risparmiatore deve giocare in difesa, li arroccato nel fosso di Helm.
Personalmente nel corso di questi anni ho aumentato sensibilmente la quota di "armi non convenzionali" come ad esempio l’oro che consente di cautelarsi da queste fasi di aumento dell’avversione al rischio. Come avevo segnalato nei precendenti post e nella mia Newsletter, dopo la rottura dello S&P500 dell’area 1250, ho cambiato il mio portafoglio finanziario drasticamente riducendo il rischio azionario e, nell’ambito di questo sto privilegiando i temi difensivi (azioni large cap, azioni stile growth, azioni high dividend, azioni italiane sottovalutate); ho inoltre tagliato le mie posizioni sui titoli high yield troppo sensibili ai destini del ciclo economico; anche i titoli di stato in giro per il mondo hanno poca attrattività e così il mio portafoglio è fatto di qualche (pochi) Btp con scadenza a due-tre anni, molte Bei, qualche titolo corporate avente scadenze non troppo lunghe ed appartenenti a settori difensivi, una buona presenza su titoli governativi di paesi emergenti che presentano bilanci decisamente più virtuosi di quelli delle economie occidentali. Infine una buona presenza di liquidità (cash is king!) che in queste fasi volatili mi permette di impostare operazioni di trading veloce su situazioni di eccesso che frequentemente si vengono a creare.

domenica 21 agosto 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

Cari Amici, è appena uscito un nuovo numero della mia Newsletter: si intitola: "Nel fosso di Helm" in onore ad uno dei miei film preferiti: "Il signore degli anelli".
Gli ultimi avvenimenti sui mercati finanziari sono drammatici ed impongono una sana disciplina per l'investitore in termini di scelte; ne parlo in questa Newsletter.
A presto

lunedì 11 luglio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Update sulla mia view di mercato

Gli ultimi segnali provenienti dai mercati finanziari debbono indurre ad un attegiamento di estrema cautela nel momento in cui investiamo i nostri soldi. Ho l'impressione che i problemi che stanno riemergendo non sono solo legati alla crisi europea e all'attacco delle locuste al nostro Belpaese. I dati sull'occupazione Usa hanno parlato chiaro: con questi ritmi di crescita l'economia più importante del mondo non è in grado di creare nuovi posti di lavoro sufficienti per abbassare il tasso di disoccupazione; non solo: l'immane mole del debito Usa continua a pesare sulle prospettive di crescita future. Per il momento l'area che sto monitorando sull'indice S&P500 ha tenuto (1250) ma nel caso di una violazione ribassista con chiusura settimanale di tale livello abbasserò drasticamente le mie posizioni sull'azionario. Raccomando estrema selettività nell'acquisto di azioni europee privilegiando temi difensivi; per il momento sto lontano dal settore finanziario mentre proprio oggi ho iniziato ad acquistare Btp a due/tre anni che offrono un rendimento interessante. L'oro rappresenta ancora una copertura efficace contro eventuali rischi sistemici e risulta essere in assoluto la valuta (si avete capito bene, la valuta e non la materia prima!) più forte. Al momento titoli corporate, high yield e obbligazioni di paesi emergenti non sembrano destare preoccupazioni.
Stay tuned!

domenica 3 luglio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Quando la polvere viene nascosta sotto al tappeto

I Governi Occidentali stanno continuando la battaglia di riduzione dei debiti accumulati e causati da modelli di crescita economica non sostenibili; Le autorità europee stanno delineando piani di salvataggio della Grecia. Così come quando si fanno le pulizie in casa, si sta cercando di sbarazzarsi della polvere accumulatasi un po’ dappertutto. L’impressione che ne sto ricavando, tuttavia, non è positiva e l’ultimo esempio giunge dalla manovra economica che il Governo italiano vuole varare; non voglio addentrarmi nei dettagli della manovra da 40 miliardi architettata da Tremonti; dico solo che i problemi si stanno nascondendo, un po’ come si nasconde la polvere sotto al tappeto per evitare la fatica di doverla rimuovere e la stessa cosa si sta facendo in Usa (pensate che entro i primi di agosto devono innalzare il tetto massimo del debito consentito!) o nei tentativi di salvataggio della Grecia. Il problema fondamentale, tuttavia, risiede non tanto nella mancanza di volontà da parte dei Governi o delle Autorità economiche, quanto della mancanza di una sufficiente crescita economica da cui attingere risorse per permettere di assestare una decisa sforbiciata ai debiti pubblici.

Come investitore, il mio scenario centrale rimane sempre quello del Bear Market Secolare: una lunga fase economica caratterizzata da crescita al di sotto del potenziale, shock esterni (il caso Grecia è solo l’ultimo) e alta volatilità degli investimenti a rischio (azioni e materie prime in primis).
Tuttavia, nel breve termine, come vi avevo segnalato, sono compratore delle debolezze sia delle piazze azionarie che delle materie prime perché ritengo che il Bull Market Ciclico non sia terminato proprio grazie al fatto che le autorità sono maestre nel "nascondere la polvere" proprio come piace ai miopi mercati finanziari.
Tanti indicatori che abitualmente tengo monitorati sono in forte eccesso già da alcune settimane; cito, ad esempio, il rapporto tra azioni e obbligazioni e gli economic surprise index calcolati da Citigroup.
Inoltre, nel momento in cui scrivo i livelli di supporto sullo S&P500 (area 1250) hanno retto egregiamente e diversi indicatori di ampiezza del mercato mi stanno segnalando un lento ritorno dell’avversione al rischio da parte degli investitori. Probabilmente, nel breve termine, nascondere la polvere sotto al tappeto abbellisce la casa, almeno sino a quando qualcuno non ci inciampa, scoprendo cosa nasconde sotto…

domenica 26 giugno 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Il rischio di investire in ETF

L’uscita di un importante documento del Financial Stability Board intitolato:” Potential financial stability issues arising from recent trends in Exchange-Traded Funds (ETFs)” mi da l’occasione per parlare ancora di disinformazione finanziaria. A farla, è sempre lui: Beppe Scienza.


In un suo libro intitolato “Il risparmio tradito” ha pontificato riguardo la bontà degli Etf quale strumento a disposizione dei risparmiatori da sostituire ai fondi comuni, a suo parere, fonte di inefficienze e di scarsa trasparenza. Ecco quello che Scienza scriveva nel capitolo 21 intitolato “Come salvarsi?” a proposito degli Etf:

“Un fondo comune può facilmente copiare un mercato azionario, applicare commissioni bassissime ed essere comunque redditizio per la società di gestione. Ma le bauche italiane si sono sempre guardate bene da istituire fondi simili, che avrebbero ridotto gli enormi guadagni che lucrano a danno dei risparmiatori.
Anzi, la parola "indice" nella denominazione di alcuni fondi azionari italiani è una bella etichetta che non garantisce un andamento in sintonia col mercato. Vedi per es. Cisalpino Indice e Padano Indice Italia: nel
2000 hanno reso il 3,2% e il -2,7% a fronte del 6,2% netto della Borsa italiana. Il risparmio gestito italiano è proprio la fiera degli equivoci. Invece in America esistono per es. dal 1993 le Standard & Poor's Depositary Receipts, simbolo SPY, che replicano il suddetto indice S&P500. Si tratta di uno dei tanti Exchange Traded Fund (Etf), ovvero "fondi trattati in Borsa", detti così perché scambiati come azioni 4. Per puntare sulle azioni tali strumenti sono la quadratura del cerchio, in quanto:

• garantiscono risultati allineati, nel bene e nel male, a quelli del rispettivo indice di Borsa;

• hanno costi normalmente modesti, nell'ordine dello 0,15-0,50% l'anno;

• non si pagano gabelle per l'ingresso o l'uscita, ma solo commissioni analoghe a quelle per la compravendita di azioni:

• sono acquistabili anche per importi bassissimi.

Sino a pochi anni fa un risparmiatore italiano doveva ricorrere a Etf esteri, spesso con complicazioni e maggiori oneri fiscali. Ciò non toglie che chi ha comprato le SPY s'è avvantaggiato in pieno della salita delle borse e della valuta americane, a differenza dei poveretti cui sono stati sbolognati fondi italiani specializzati sull'America con minus di gestione nell' ordine del 7% annuo (vedi p. 65). Non stupisce quindi che la stampa estera li consigli spesso: vedi per es. il solito Der Spiegel che ne elenca i vantaggi (n. 16, 17-4-2000 p. 83). Invece quella italiana, pur così infatuata dell'investimento in azioni americane, per anni non ne ha mai parlato: il solito Sole 24 Ore non li cita neppure elencando "le diverse strade che si aprono per chi decide di entrare nel mercato americano" e propone invece fondi comuni (23-7-2000 p. 15). Ma per fortuna dal 30-9-2002 diversi Eft di società straniere sono facilmente accessibili anche agli investitori italiani, perché ufficialmente quotati. Comprando e tenendo in portafoglio Etf azionari di regola si otterrà più che coi fondi comuni venduti dalle banche e dai promotori finanziari, i quali e le quali cercheranno quindi in ogni modo di dissuaderne l'acquisto.”

Peccato che l’Azzeccagarbugli di Torino, come sempre, fornisca la verità che a lui fa più comodo; con il solo obiettivo di gettare fango sull’industria del risparmio gestito, Scienza fa brillare il mondo degli Etf senza evidenziarne i reali rischi. Cari risparmiatori, sembra voler dire il professore di Torino, comprate etf e dormirete sonni tranquilli!

Ma è proprio così? Ecco alcuni passi del documento del Financial Stability Board:

” While ETFs bring a number of benefits to investors and market participants, including cost efficiency diversification and easier access to specific asset classes or risk exposures, they may also generate new types of risks, linked to the complexity and relative opacity of the newest breed of ETFs.”

Ed ecco un esempio di struttura sottostante ad un Etf quotato nella Borsa di Milano:



Come si vede, dietro moltissimi Etf c’è una struttura di scambio di flussi finanziari molto più opaca di un portafoglio di un qualsiasi fondo comune di investimento e, pur essendo prodotti passivi, non sono assolutamente esenti da rischi. Come segnala il bravo Armando Carcaterra di Anima SGR:

“Mentre i vecchi ETF replicavano l'indice di riferimento investendo direttamente nei titoli sottostanti, gli ETF "sintetici" investono invece in derivati legati agli indici di mercato. Questa modalità ha consentito di estendere lo strumento ETF anche a mercati prima inaccessibili come le materie prime. Sono nati così altri strumenti di investimento come gli ETC Exchange Traded Commodities, cioè strumenti che investono in materie prime.
Questo acronimo però non segnala solo che l'ETC investe in materie prime, segnala anche che esso, al contrario degli altri ETF che investono sui mercati finanziari, non è un fondo comune, ma una specie di titolo indicizzato emesso direttamente dalla banca d'affari. L'ETC è nato perché la normativa sugli OICR non consente di investire in materie prime ed in più impone che i fondi comuni diversifichino il rischio. Gli ETC, invece possono utilizzare derivati a proprio piacimento e sottrarsi a qualunque vincolo di diversificazione dei rischi, legandosi solo all'oro, solo all'argento, al rame e così via.”

E ancora:

“L'ETC investe esclusivamente in derivati: il suo valore è legato all'andamento del mercato di riferimento, ma i suoi guadagni e perdite vengono contabilizzati sulla base di contratti stipulati con una controparte (cioè una banca d'affari), non a fronte di un portafoglio "fisico" di materie prime. Se la controparte è insolvente o non onora il contratto, il valore dell'ETC evapora perché non possiede alcun sottostante da vendere. Di questo tipo di rischio, che viene denominato "rischio di controparte" il risparmiatore di solito non è però affatto consapevole. Il risparmiatore non è neppure consapevole di essere legato a filo doppio alla solvibilità di un'unica banca d'affari, quella che ha emesso l'ETC. In epoca di bolle -si sa- le tentazioni sono forti. Ed anche i danni che esse fanno.”
Un altro aspetto di cui nessuno parla mai, poi, è quello legato al grado di liquidità degli Etf su cui si è deciso di investire perchè esiste la possibilità che l’emittente li liquidi da un momento all’altro a suo piacimento. Questa eventualità può accadere quando un Etf è poco liquido, cioè quando non riscuote l’interesse del mercato. Con “poco liquido” si fa riferimento al numero di compratori e venditori che caratterizzano il mercato dell’Etf per diversi livelli di prezzo.
Infine, voglio evidenziare che non è solo il Financial Stability Board a lanciare l’allarme come si vede dall’articolo di cui allego il link:

http://blogs.wsj.com/marketbeat/2011/04/21/etfs-a-threat-to-financial-stability/

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

In questo numero Vi parlo di reddito pro capite e di un grande economista bulgaro: Ilian Mihov.
Stay tuned!

domenica 12 giugno 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Ecco perchè siamo in un Bear Market Secolare

Diversi amici lettori del blog rimangono disorientati quando nei miei post o nella Financial Markets LAB Newsletter parlo di Bear Market Secolare o di Bull Market Ciclici. Proviamo allora ad usare un grafico per far comprendere meglio ai lettori cosa intendo. A questo proposito vi ho allegato un chart che mostra i corsi dello S&P500 depurati dall'effetto inflazione. Guardate cosa è successo dal 2000 ad oggi. L'indice Usa ha fatto un massimo a 1527.46 nel 2000 poi è sceso a 800.58 nel 2002; quindi ha fatto un massimo (ma inferiore a quello del 2000!) a 1561.80 nel 2007 per poi scendere nuovamente a 683.38 (nuovo minimo più basso di quello del 2002!) nel 2009. Da li è ripartito il rialzo sino ai livelli dei nostri giorni. Ebbene, l'indice S&P500 dal 2000 ad oggi continua a segnare massimi decrescenti e minimi decrescenti (individuati dal canale ribassista in rosso): questa è la rappresentazione grafica del Bear Market Secolare. Nell'ambito di questa fase i periodi 2002-2007 e 2009-2011 rappresentano i Bull market Ciclici.


venerdì 10 giugno 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - The same old story

Sui mercati finanziari si sta ripetendo per l'ennesima volta un film già visto: le banche centrali inondano di liquidità il sistema stampando moneta in modo indiscriminato e con l'illusione di dare un contributo alla crescita economica; il denaro invece che confluire verso il sistema produttivo si riversa sugli strumenti finanziari che più appagano l'appetito per il rischio e la fame speculativa degli investitori; i prezzi delle attività finanziarie vanno verso livelli stellari che non trovano un riscontro nei valori reali; sale tutto: azioni, materie prime, titoli corporate, obbligazioni dei mercati emergenti; improvvisamente le banche centrali tolgono il sostegno della liquidità perchè si rendono conto di avere esagerato; gli operatori cominciano a delineare scenari di aumento del costo del denaro e prendono coscienza degli eccessi sui prezzi delle attività finanziarie; la bolla scoppia e il cosidetto "parco buoi" rimane con il cerino in mano. Questa in estrema sintesi è anche la storia del bull market ciclico che stiamo vivendo da marzo 2009. The same old story.
Il rimbalzo partito poco più di due anni fa allora è finito? Non credo, ma i livelli che avevano raggiunto gli indici azionari alcune settimane fa avrebbero dovuto indurci ad una maggiore cautela (come peraltro avevo segnalato qui sul blog e nella mia Newsletter). E ora cosa attendersi? E' la domanda che tutti voi mi state ponendo nelle mail che mi inoltrate. Beh sicuramente il contesto è estremamente fragile ed incerto: la ripresa economica stenta, il mercato del lavoro nei paesi occidentali è asfittico, il mercato immobiliare Usa è in crisi perenne, il polmone Cinese mostra qualche segnale di affanno e gli indicatori anticipatori del ciclo economico ci stanno segnalando una battuta di arresto. Ad aggravare la situazione ci si mette pure la Fed che stacca la spina con la fine del QE2. Cosa dire poi del livello di indebitamento raggiunto dagli investitori; guardate il Nyse Margin Debt (thanks to DS Short) che sta mostrando segnali di cedimento e soprattutto guardate che stretta correlazione c'è con l'andamento dei mercati azionari (il confronto è proprio con la borsa Usa). Mi chiedo: cosa succederà se la Fed (come effettivamente sembra voglia fare) deciderà di non continuare a fornire liquidità al sistema? Beh mi aspetto un crollo del Nyse margin debt in concomitanza con una discesa ulteriore dei corsi azionari.


E la Bce? Beh la scellerata banca centrale europea ha fatto intendere chiaramente nel suo ultimo statement che a luglio i tassi ufficiali verranno ritoccati al rialzo.
Dunque le banche centrali fanno (costruiscono bolle) e disfanno (danno il loro contributo a farle esplodere) e tra il fare ed il disfare non c'è nulla (o quasi) che vada nella direzione di favorire una crescita economica sana.
Riepilogando:
1) la droga della liquidità sta venendo meno e tra un po' il paziente si risveglierà pieno di dolori e acciacchi;
2) in area 1250-1260 l'indice S&P500 dovrebbe trovare un supporto tecnico importante che potrebbe arginare momentaneamente la correzione in atto;
3) le possibilità per un nuovo guizzo rialzista delle borse sono legate a filo doppio ai segnali provenienti dagli indicatori anticipatori del ciclo: un nuovo allungo di questi ultimi ci segnalerebbe che nonostante tutti i problemi il bull market ciclico avrebbe ancora qualche mese di vita e questa rimane l'ipotesi che, nonostante tutto, mi convince di più. Proprio per questo in zona 1250/1260 imposterò acquisti tattici protetti da un rigido stop loss.
Stay tuned...

sabato 28 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

In questo numero mi soffermo sull'importante variabile previsiva che riguarda il ciclo dei profitti e aggiorno la mia view sui mercati azionari.
Vi ricordo che per poter ricevere la mia Newsletter dovete richiedermela al seguente indirizzo, mandandomi il vostro nome e cognome:

finmklab@yahoo.it

mercoledì 25 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - La disinformazione colpisce ancora!

Oramai lo leggo per sorridere anche se è più forte di me; non ce la faccio a non arrabbiarmi quando leggo gli articoli che Beppe Scienza pubblica sul suo blog tra le pagine de "Il fatto quotidiano". Nell'ultimo post il "professore" di Torino giunge all'illuminata conclusione che investire in azioni non offre una protezione contro l'inflazione e cita i soliti dati di Mediobanca e le inesattezze che, a suo parere, compaiono sulla stampa specializzata, quando affronta questo tema.
L'uomo della strada leggendo articoli simili non fa che allontanarsi da possibili alternative di investimento (come le azioni) che potrebbero diversificare egregiamente il rischio del proprio portafoglio, aumentando il relativo profilo rischio-rendimento. All'articolo di Scienza ho risposto in modo secco e duro nei suoi confronti (se lo merita!) e qui proverò a spiegare perchè. Ho preso in considerazione, in un banalissimo esercizio, il mercato azionario italiano analizzando l'evoluzione dell'indice Comit (che rappresenta l'andamento delle azioni italiane) con un indice dei prezzi al consumo al netto della componente volatile (tabacco). Partiamo esaminando un arco temporale ampio (dal 1973 ad oggi):


Effettivamente il grafico sembra dare ragione proprio alle affermazioni di Scienza: dal 1973 ad oggi le azioni (comprensive dei dividendi distribuiti) sono salite meno dell'inflazione.
Ma questa conclusione è davvero superficiale in quanto non tiene conto dei cicli economici che si sono succeduti in quasi 40 anni di tempo! E' come se un marinaio si ostinasse a navigare in qualsiasi condizione atmosferica invece di approdare in porti sicuri quando ci sono i maremoti e trornare a prendere il largo quando il mare è calmo!
Guardiamo il periodo 1982 - 1999:


Come si può vedere quando le borse si trovano in quello che in gergo tecnico si chiama Bull market secolare (cioè una prolungata fase rialzista dei corsi sostenuta da un contesto macroeconomico di crescita) le azioni stracciano alla grande l'inflazione!
Guardiamo ora il periodo 1999 - 2011, cioè la fase che stiamo vivendo da quando è scoppiata la bolla tecnologica sui listini azionari e le economie occidentali sono entrate in una profonda crisi economica (di cui sentiamo ancora gli strascichi) e da quando è partito il cosidetto Bear market secolare sulle azioni (cioè una prolungata fase ribassista dell'equity causata da un contesto macroeconomico avverso)


Effettivamente le azioni non stanno riuscendo ad offrire rendimenti eclatanti.
Analizziamo infine il periodo 1980 - 2011 nell'ultimo grafico che vi propongo:


Come si vede dal 1980 ad oggi le azioni fanno meglio dell'inflazione.
Allora quali conclusioni possiamo trarre? Quelle dell'"Azzeccagarbugli" che sostengono che investire sull'azionario è come puntare alla roulette?
Oppure in modo razionale possiamo sostenere che queste lunghe fasi alterne di andamenti positivi e negativi dell'azionario sono ragionevolmente prevedibili e, scalettando degli acquisti oculati sulle azioni nei periodi maggiormente avversi possiamo sperare di beneficiare successivamente della fase positiva del mondo azionario?
Lascio a voi la risposta...la mia la potete intuire....

lunedì 16 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Ancora una volta l'ECRI segnala cautela!

Ancora una volta questo importante indice sembra volerci segnalare cautela; guardate il chart: l'indice pare non avere la forza per spingersi oltre la resistenza dinamica che ho tracciato sul grafico; un eventuale ripiegamente di questo indice ci segnalerebbe l'avvio di una fase debole per l'economia, con conseguenze non esalktanti per i temi di investimento rischiosi. Personalmente sto riducendo l'esposizione al rischio dei miei portafogli capitalizzando una parte degli utili sulle scommesse che da inizio anno stanno andando meglio (obbligazioni emergenti in valuta locale e high yield).

lunedì 9 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Il bue dice: "cornuto!" all'asino

In modo del tutto causale, alcune settimane, fa mi sono imbattuto nel blog finanziario di un certo Beppe Scienza. Dal blog sono andato a finire sul sito (www.beppescienza.it) scoprendo che lo scrittore è anche un professore universitario (fa parte del dipartimento di matematica dell’università di Torino). Leggendo gli scritti, sia sul blog che i documenti che mette a disposizione sul suo sito, si rimane colpiti dalla foga con la quale questa persona attacca brutalmente il mondo, i prodotti e le persone che lavorano nel mondo del risparmio gestito. Mi sono sentito chiamato in causa in prima persona, visti i miei trascorsi in questo settore e sono intervenuto in diverse occasioni sul suo blog facendogli notare le inesattezze e la superficialità con la quale giungeva a certe conclusioni sbrigative sulla previdenza complementare e sulla bontà dei fondi pensione. Non l’avessi mai fatto! L’emerito professore mi si è scagliato contro ingiuriandomi e dandomi addirittura del vigliacco perché mi nascondo dietro uno pseudonimo. Ebbene, questo mi ha stimolato a leggere altri lavori pubblicati da questo personaggio; la conclusione riguardo la qualità degli studi fatta da questo professore di matematica prestato al mondo dei mercati finanziari rimane sempre la stessa: questo personaggio è un vero e proprio Azzeccagarbugli che si permette di criticare la qualità dell’informazione finanziaria dei nostri mass media senza rendersi conto che anche lui (come molti dei giornalisti finanziari italiani) fa DISINFORMAZIONE inondando la rete di bugie riguardo la previdenza complementare e, soprattutto, il mondo del risparmio gestito. E' proprio come quando il bue dice:"cornuto!" al povero asino. La cosa grave poi è che con il suo agire fa cadere in errore la gente che lo legge che, invece di cercare prodotti di risparmio gestito efficienti, compie l’errore di “fare da se” alimentando in questo modo i ben noti “casi” Parmalat, Ciro, Lehman Brothers, Argentina, etc. Peccato, perché alcuni degli argomenti toccati da Scienza (tra cui la scarsa preparazione dei giornalisti finanziari, l’inefficienza e la scarsa trasparenza di molti prodotti finanziari proposti ai piccoli risparmiatori) li condivido al 100%; quello che mi da veramente fastidio sono le generalizzazioni e le analisi, estremamente parziali e comunque non esaustive, che portano Scienza a fare conclusioni assolutamente false e disguidanti per l’investitore; così se in piccola parte posso giustificare la scarsa preparazione di un giornalista (che alla fine non è un tecnico) non posso ammettere l’incompetenza di chi, come Scienza, parla da dietro una cattedra universitaria. Per questo, ho deciso di dedicare una rubrica del mio blog, che ho intitolato “L’angolo dell’Azzeccagarbugli” e dedicare proprio il primo post a lui: Beppe Scienza.
Dal Capitolo 10 del libro “Il risparmio tradito” intitolato “Sotto tutela” e dal paragrafo intitolato:”gestioni patrimoniali opache”:

“Per giunta non ci sono solo i fondi comuni, ma anche le gestioni patrimoniali. E in effetti avremmo voluto estendere i confronti del Cap. 7 alle gestioni cosiddette individuali, ma la totale opacità di tali rapporti è un ostacolo insormontabile a tale fine. Ecco invece cosa scrive il Sole 24 Ore: • le gestioni di patrimoni tramite fondi sono "un servizio più trasparente perché si può controllare tutti i giorni sul giornale quale sia il valore delle quote dei propri fondi" (31-3-1996 p. 18). Invece non è così, perché il cliente non sa quante quote possiede dei singoli fondi e quindi non può affatto seguire quotidianamente il suo investimento.”

FALSO!

Ma Beppe Scienza sa che nell’estratto conto inviato al cliente sono elencate per filo e per segno le operazioni svolte dal gestore e c’è l’elenco dei prodotti detenuti con il relativo ammontare, prezzo e valorizzazione?! Evidentemente no!

Ecco quello che dice testualmente la Banca d’Italia:

“La gestione su base individuale di portafogli di investimento è un servizio di investimento che può essere svolto da una banca, una SGR, una società di intermediazione mobiliare (SIM) o un’impresa di investimento estera autorizzata (intermediario gestore).
L’investitore conferisce il proprio patrimonio all’intermediario, delegandolo ad effettuare decisioni di investimento mediante operazioni di acquisto e vendita di azioni, obbligazioni, quote di OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio) o altri strumenti finanziari.
A differenza dei fondi comuni e delle SICAV, il patrimonio di ogni singolo cliente non confluisce in un patrimonio collettivo e la gestione del portafoglio viene effettuata separatamente per ogni cliente. Il patrimonio dell’investitore è separato a tutti gli effetti da quello degli altri clienti del gestore e da quello del gestore medesimo; non può, in particolare, essere utilizzato in nessun caso a favore dei creditori dell’intermediario che cura l’investimento.
Le decisioni di investimento sono assunte discrezionalmente dal gestore, sulla base di obiettivi e all’interno di limiti (ad esempio: una percentuale massima del patrimonio investito in azioni) definiti nel contratto con il cliente. I risultati positivi o negativi degli investimenti effettuati dal gestore ricadono direttamente sul patrimonio dell’investitore. Tale patrimonio, al termine del mandato conferito all’intermediario, può essere di valore inferiore a quello originariamente investito. L’intermediario ha l’obbligo di informare periodicamente il cliente del rendimento ottenuto e degli strumenti finanziari inclusi nella gestione patrimoniale.Le principali tipologie di gestioni patrimoniali sono la Gestione Patrimoniale Mobiliare (GPM), in cui il patrimonio viene investito principalmente in azioni, obbligazioni e strumenti finanziari derivati e la Gestione Patrimoniale in Fondi (GPF), dove il patrimonio è investito prevalentemente in quote di fondi comuni di investimento e di SICAV.”

Avete letto?! L’intermediario ha l’obbligo di informare periodicamente il cliente del rendimento ottenuto e degli strumenti finanziari inclusi nella gestione patrimoniale!
E questo è solo l’inizio! Rimanete sintonizzati sulle pagine del blog perché nelle prossime settimane parleremo di altre sciocchezze e bugie scritte da Beppe “Azzeccagarbugli” Scienza e da altri suoi simili.

domenica 1 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter: the cube

Cari Amici, è in uscita il nuovo numero della mia Newsletter; questa volta voglio ricordare a tutti alcune delle sfaccettature dello scenario economico-finanziario in cui ci muoviamo per prendere decisioni di investimento. Ho intitolato questo numero THE CUBE (ricordate il mitico film del 1997 diretto da Vincenzo Natali?) perchè, come investitore, continuo a sentirmi imprigionato in un ambiente irto di pericoli e faccio fatica a capire come i governi e le istituzioni finanziarie riusciranno ad uscire da questa sorta di prigione. Alcune delle sbarre che costituiscono questa galera sono fatte dall'enorme debito accumulato dagli stati occidentali. A proposito, guardate nel grafico seguente dove siamo arrivati in area Euro: il debito ammonta mediamente al 200% del Pil prodotto! Stay tuned

sabato 9 aprile 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Precisazione

Gli aficionados (i miei lettori più affezionati e più rompip....) mi fanno notare che i guru di cui avrei dovuto parlare nella Newsletter dovevano essere tre e non due. Bravi! Volevo vedere se eravate attenti! Del terzo Guru vi racconterò a breve qui, sulle pagine del bloggg.
Stay tuned!

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Piccolo spazio...pubblicità!

Sfrutto le parole di una vecchia canzone di Vasco Rossi per intitolare questo brevissimo post in cui voglio parlarvi di un blog amico; si tratta di FINANZA MONITOR (www.finanzamonitor.blogspot.com).
Questo blog è di un vecchio leone della savana dei mercati finanziari che da sempre dedica parte del proprio tempo alla divulgazione della cultura finanziaria. FINANZA MONITOR offre corsi aventi per oggetto tematiche legate al mondo dei mercati finanziari e dell'economia; uno dei servizi offerti è la possibilità di personalizzare i contenuti dei corsi e di farli al proprio domicilio!
FINANZA MONITOR poi, offre anche un servizio di reportistica finanziaria rivolto sia al risparmiatore privato che a quello istituzionale attraverso l'inoltro di report specifici sui diversi mercati e strumenti finanziari. Non mi resta che consigliarvi di visitare il blog e, se avete bisogno di formazione in ambito economico-finanziario, iscrivervi ai corsi organizzati da questo bravo professionista o sottoscrivere i suoi report.

sabato 2 aprile 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

Dopo aver passato diversi giorni in giro per l'Europa sto provando a sintetizzare alcune delle cose che mi hanno detto tre guru del mondo dell'economia e dei mercati finanziari. Chi sono?! Beh, scopritelo leggendo il prossimo numero della mia Newsletter in imminente uscita. Posso solo anticiparvi che si tratta di tre veri personaggi del mondo economico-finanziario.
Stay tuned!

domenica 20 marzo 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Risorse energetiche, democrazia e crescita economica

La tragedia giapponese e l’instabilità dei paesi nord africani riaprono prepotentemente il dibattito sulla scelta delle fonti di energia che deve fare un paese. Come tutti sappiamo, a giugno in Italia ci sarà un referendum che ci farà scegliere o rifiutare l’energia nucleare. Già nel 1987 gli italiani avevano detto NO AL NUCLEARE. In modo obsoleto l’attuale classe politica, senza un vero piano energetico per il paese, vuole tentare nuovamente di propinare gli oligarchi dell’energia nucleare (non bastavano quelli delle energie fossili!) agli italiani.
Dal mio punto di vista, chi detiene l’energia gestisce il potere sui popoli e, pertanto, un paese democratico, per potersi fregiare appieno di questa caratteristica dovrebbe, mettere a disposizione della propria gente l’energia necessaria alla quotidianità e alla vita. Naturalmente, uno stato civile dovrebbe rendere disponibile le fonti energetiche ad un costo accessibile a chiunque senza creare nessun tipo di barriera legata al ceto sociale o alla disponibilità economica. Purtroppo questo non è mai stato possibile perché gli stati stessi in giro per il mondo sono, a loro volta, alle dipendenze di altri stati che possiedono, più di altri, le risorse energetiche comunemente usate (fossili e nucleare); queste ultime pertanto, che dovrebbero essere considerate patrimonio dell’umanità (come l’acqua che beviamo o l’aria che respiriamo) diventano leve da sfruttare per esercitare il proprio potere per arricchirsi e per speculare; al primo posto, come spesso accade in ambito economico, si pone l’avidità a detrimento della democrazia e dell’eguaglianza. Gordon Gekko nel primo Wall Street diceva:”l’avidità è giusta!”
Probabilmente, la speculazione svolge una sua utilità per i mercati finanziari ed è uno degli ingredienti (da usare con moderazione nella ricetta!) del libero mercato; tuttavia, ritengo ci siano ambiti attinenti ai bisogni essenziali dell’uomo in cui l’avidità deve essere tenuta sotto controllo da appositi organismi e da un’attenta regolamentazione; ed è proprio quello che, ad esempio, non è avvenuto nell’ultima crisi dei mutui subprime statunitensi.
Ma torniamo alle fonti energetiche; il mondo, come ci rendiamo conto nella vita quotidiana, è in mano alle oligarchie delle energie fossili e del nucleare; bisogna in parte riconoscere che senza l’energia di origine fossile (petrolio, carbone e gas naturale) l’uomo moderno non potrebbe vivere; allo stato attuale oro nero, carbone e gas naturale rappresentano circa l’80% dei consumi in giro per il mondo. Tra le fonti di energia alternative solamente le biomasse (legno, rifiuti, residui vegetali, etc.) si sono ricavate un ruolo importante (stando ai dati in mio possesso che però risalgono al 2004, rappresentavano circa il 10% del consumo totale di energia). L’energia nucleare rappresenta circa il 6.5% (dati del 2004 dell’IEA). Sole e vento svolgono ancora un ruolo del tutto marginale, nonostante i mass media continuino a decantarne le lodi e ad accusare i governi riguardo la trascuratezza che nutrono nei confronti di queste due fonti di energia. La domanda è: PERCHE’ I GOVERNI MONDIALI NON CREDONO NELLE ENERGIE RINNOVABILI?! Una possibile risposta è: perché le fonti fossili di energia sono insuperabili in termini di densità di energia e densità di potenza, cioè sono in grado di fornirci enormi quantitativi di energia da concentrazioni ridotte di spazio e materia prima.
PERO’ QUESTA SITUAZIONE E’ ANCHE COLPA DEI GOVERNI perché non destinano un quantitativo sufficiente di fondi indispensabili per una ricerca scientifica che sia volta proprio ad aumentare l’efficienza, la flessibilità e la facilità di utilizzo delle fonti energetiche alternative; negli ultimi decenni tutti i paesi industrializzati hanno destinato più dell’80% dei fondi pubblici alla ricerca sull’energia nucleare, trascurando completamente le altre fonti alternative; e pensare che, stando a studi effettuati, in Italia se tutti i tetti delle case avessero pannelli solari, riusciremmo a coprire circa il 45% del fabbisogno energetico nazionale!! Senza poi contare che le energie alternative hanno spazi di miglioramento della loro efficienza, proprio in termini di densità di energia e potenza.
Gli Usa, la più grande potenza economica mondiale, sono un pessimo esempio se si guardano i dati dell’ U.S. Energy Information Administration; nel 1980 i consumi energetici americani erano così ripartiti:

Petrolio 43.8%
Natural gas 25.9%
Carbone 19.7%
Nucleare 3.5%
Bio carburanti 0%
Energie rinnovabili 7%

Nel 2009 la situazione era la seguente:

Petrolio 37.3%
Natural gas 24.7%
Carbone 20.9%
Nucleare 8.8%
Bio carburanti 1%
Energie rinnovabili 7.2%

Da questi numeri emerge che gli Usa hanno ridotto i consumi di petrolio (dal 43.8% al 37.3%) ma a favore quasi totalmente dell’energia nucleare (dal 3.5% all’8.8%).
Torniamo ora al binomio energia-democrazia. Al di là degli aspetti tecnici o di convenienza economica ed ambientale, la scelta tra energie alternative o energia nucleare è cruciale dal punto di vista socio-economico. C'è dettaglio determinante: il sole, ad esempio, è un bene a disposizione di chiunque (proprio come l’aria) mentre l’uranio no; tutti potrebbero trasformare l’energia solare in elettricità con un pannello fotovoltaico mentre per trasformare l’energia nucleare in elettricità occorre una centrale. Questa considerazione è importante per capire perchè il nucleare sta tornando in voga, e si cerchi di farlo passare come succedaneo del petrolio. In realtà, il nucleare serve per non cambiare le cose e mantenere le rendite di posizione; è un sistema per continuare a mantenere i cittadini e i popoli nelle mani di pochi, cioè di chi detiene la fonte di energia e di chi la distribuisce. Esattamente come è per le vetuste energie fossili.
Inoltre se l’energia fosse basata sull’uranio, sarebbero ancora concepibili guerre per le fonti energetiche (come ancora avviene per il petrolio), mentre se l’energia fosse basata sul sole o il vento, le guerre non avrebbero senso perchè non avrebbe senso fare una guerra per accaparrarsi il sole! In pratica, le energie alternative sono DEMOCRAZIA, le energie fossili e l’energia nucleare sono OLIGARCHIA.
Tra l’altro, non bisogna farsi ingannare da chi parla di centrali solari o “parchi eolici”, perchè sono un meccanismo subdolo per mantenere ancora in piedi le rendite di posizione; questo perchè una centrale solare manterrebbe ancora i cittadini nello stato di dipendenza da altri, da chi trasforma l’energia. Allora, non basta lottare per le energie rinnovabili come sole e vento, occorre anche battersi per il decentramento energetico, perchè ogni cittadino possa produrre “con le proprie mani” l’energia che vuole.
Il problema è, allora, quello di delineare un nuovo modello energetico che soppianti quello prevalente, ancora incentrato sulla produzione centralizzata di energia.
Il panorama energetico globale vede la presenza di un numero limitato di industrie che concentrano (sistema centralizzato e oligarchico) la produzione elettrica in megacentrali a combustibili fossili e nucleari. L'elettricità prodotta viene immessa in grandi "scheletri" ad alta tensione, da cui si dipartono le reti che arrivano fino alle nostre abitazioni. Ovviamente questa complessa e costosa infrastruttura, incide in maniera significativa sul prezzo finale dell’energia e presenta una certa rigidità; questo perchè il flusso di elettricità viaggia in maniera unidirezionale, dal luogo di produzione a quello di consumo. In questo contesto, l’utente finale che utilizza energia riveste il ruolo passivo di semplice “consumatore” di energia.
Nel passato, la necessità di distribuire l’energia elettrica a milioni di persone, poteva giustificare la creazione di monopoli energetici. In Italia, ad esempio, il processo di nazionalizzazione dell’Enel, avvenuto negli anni sessanta, rispondeva proprio a questo tipo di esigenze: bisognava accentrare i capitali e le risorse in un’unica grande azienda pubblica per portare l’energia elettrica in tutto il Paese. Tuttavia, a partire dal 1992 è stato avviato un percorso di liberalizzazioni, che ha portato a un superamento del monopolio statale dell’energia elettrica, in favore di un regime (tuttora imperfetto) di concorrenza tra aziende energetiche, che ha offerto anche al singolo cittadino la possibilità di diventare un produttore di energia. In secondo luogo, il processo di elettrificazione del Paese è pienamente concluso; pertanto oggi bisogna arrivare ad un graduale smantellamento delle centrali e ripensare le modalità di produzione e consumo dell'energia.
La soluzione secondo gli esperti si chiama: generazione distribuita; questa rappresenta una diversa modalità di pensare e gestire la rete elettrica, basata non solo su grandi centrali collegate a reti estese di tralicci, bensì su unità produttive (campi eolici, fotovoltaici, centrali a biomasse, cogeneratori) di piccole-medie dimensioni, distribuite omogeneamente sul territorio e collegate direttamente alle utenze o comunque a reti a basso voltaggio.
Uno dei maggiori vantaggi della generazione distribuita consiste nella minore lunghezza delle reti di distribuzione e trasmissione dell’elettricità. Le lunghe reti ad alta tensione: a) perdono per strada circa il 7% dell’elettricità trasportata; b) comportano ingenti costi di costruzione e manutenzione (che paghiamo in bolletta); c) sono a costante rischio di black-out. La generazione distribuita, invece, è al riparo da questi rischi, perché: a) avvicina la centrale elettrica, o meglio più centrali elettriche interconnesse, al luogo di utilizzo finale dell’energia; b) aumenta l’affidabilità della rete, poiché il fermo di un impianto non comporta l’interruzione della fornitura, ma viene compensato dalla presenza delle altre centrali. La rete elettrica deve trasformarsi gradualmente da rete "passiva", in cui l'elettricità semplicemente scorre dal luogo di produzione a quello di consumo, a rete "attiva" e "intelligente" (smart grid), capace di gestire e regolare più flussi elettrici che viaggiano in maniera discontinua e bidirezionale. E’ difficile immaginare, all’interno dell’attuale contesto centralizzato, la possibilità di un accesso "democratico" alle risorse energetiche da parte dei singoli individui e delle comunità locali. Ma nella prospettiva di un graduale decentramento della produzione energetica nelle mani di milioni o miliardi di piccoli produttori, viene meno il ruolo e la stessa ragion d’essere dei grandi gruppi energetici, che con le loro lunghe catene di approvvigionamento delle risorse rappresentano il principale elemento di rigidità e di conflitti all'interno dell’economia globalizzata. La scelta di “regionalizzare” l’economia energetica, oltre ad assicurare uno sviluppo locale davvero sostenibile, favorisce una progressiva autonomia politica dai paesi produttori.
Ma quando si parla di democrazia dell’energia non ci si riferisce solamente alla libertà del cittadino di prodursi l’energia necessaria; il riferimento è anche al rapporto tra risorse naturali di un paese, il suo progresso economico ed il suo livello di democrazia.
Due autori (Sachs e Warner) tra il 1995 ed il 2001 hanno studiato il rapporto tra le risorse naturali di un paese e la sua prestazione economica e hanno dimostrato l’esistenza di un rapporto negativo tra i due fattori: i paesi con abbondanza di risorse hanno goduto di un tasso di crescita minore rispetto ai paesi poveri di risorse. Di conseguenza, la loro ipotesi è che le risorse non siano tanto una benedizione per lo sviluppo economico quanto, piuttosto, una maledizione, che limita la crescita e il progresso socio-economico. Diversi sono gli elementi che sembrano dar ragione a queste teorie. I paesi ricchi di risorse naturali crescono in media più lentamente rispetto a quelli poveri di risorse (è la cosidetta maledizione delle risorse naturali). Tuttavia, ci sono alcuni paesi ricchi di risorse che sono cresciuti molto velocemente e per i quali le risorse naturali sono, al contrario, una benedizione. Questo fa sì che la prova non confermi un effetto unico delle risorse sullo sviluppo/crescita (vedi Robinson et al, 2006). L’analisi teorica ed empirica si è allora focalizzata sulle ragioni per cui le risorse naturali sono una benedizione in alcuni paesi e una maledizione in altri. I fallimenti politici sono stati identificati come le cause principali: la qualità delle istituzioni è un fattore decisivo nel determinare se le risorse naturali siano una benedizione o una maledizione (vedi Mahlum, Moene e Torvik, 2006). I risultati empirici suggeriscono anche una causalità inversa: le risorse naturali hanno proprietà antidemocratiche: la ricchezza di petrolio e minerali tende a rendere i paesi meno democratici (vedi Ross, 2001) e molte rivoluzioni sono legate alle rendite derivate dalle risorse naturali (vedi Collier e Hoeffler, 1998 e 2005). Cosa spiega la maledizione? In primo luogo, un boom di risorse naturali (come la scoperta di un nuovo bacino petrolifero), con i suoi potenti effetti sulle esportazioni, porta a una sopravvalutazione della valuta nazionale. Nello stesso tempo, il grande afflusso di entrate nel paese incoraggia la domanda interna e avvia pressioni inflazionistiche, particolarmente per i beni non commerciali. Entrambi i fenomeni tagliano fuori i settori commerciali, nei quali i profitti si riducono perché le vendite avvengono a prezzi internazionali dati, danneggiando, così, lo sviluppo complessivo del paese. Questa spirale stagflazionaria negativa è la cosiddetta “malattia olandese”. In secondo luogo, i paesi che si appoggiano sulle proprie risorse naturali possono, inavvertitamente o deliberatamente, non investire in risorse umane. Dal momento che, nelle economie contemporanee, queste rappresentano il carburante principale di una crescita sostenuta, i paesi ricchi di risorse naturali si trovano imprigionati nella trappola della povertà. In terzo luogo, come generalizzazione dell’argomento precedente, l’abbondanza di risorse naturali può dare ai cittadini e ai governi un falso senso di sicurezza, determinando la non-implementazione di politiche economiche efficienti, che incrementino la crescita. Inoltre, secondo Robinson et al. (2006) e Mehlum et al. (2006), l’impatto delle risorse sulla crescita dipende in modo cruciale dalla qualità delle istituzioni politiche e, in particolare, dal livello di corruzione del settore pubblico. Mehlum et al. mostrano che le differenze in termini di crescita economica tra i paesi ricchi di risorse è dovuta al modo in cui sono distribuite le rendite. Alcuni paesi hanno istituzioni che favoriscono i produttori e il reinvestimento delle rendite, mentre altri hanno istituzioni che, “arraffando amichevolmente”, deviano le scarse risorse imprenditoriali e umane, alla ricerca di una rendita del tutto improduttiva. Di conseguenza, l’abbondanza di risorse naturali si rivela, per un paese, una maledizione o una benedizione a seconda della qualità delle sue istituzioni. Tuttavia, in questo modello emerge un problema di endogenità, e anche la causalità inversa deve essere presa in considerazione: l’abbondanza di risorse può condurre governi e produttori a implementare la ricerca di rendita, portando, così, alla corruzione e a “istituzioni che arraffano amichevolmente”. In casi estremi, per evitare la redistribuzione della ricchezza prodotta, la ricerca di rendita può assumere la forma di governi autoritari.
M. Ross (2001) si chiede se il petrolio ostacoli la democrazia. Dal momento che Ross è uno scienziato politico e non un economista, egli non guarda all’interazione tra risorse e istituzioni nel determinare la prestazione economica di un paese, ma concentra la propria attenzione sul rapporto tra risorse naturali (prima di tutto energetiche) e democrazia. Inoltre, egli cerca di individuare delle prove da confrontare con le diverse teorie articolate per dare ragione di quel rapporto. Secondo Ross, queste teorie possono essere divise in due categorie: quelle che suggeriscono che la ricchezza prodotta dal petrolio porti i governi a ridimensionare il loro intervento di promozione dello sviluppo economico (attraverso politiche educative inefficaci, corruzione, ecc.) e quelle che suggeriscono che la ricchezza generata dal petrolio renda i paesi meno democratici. In secondo luogo, la sua analisi si sviluppa a ridosso di due dimensioni distinte: da una parte, quella geografica, rispetto alla quale cerca di verificare se non vi sia un nesso causale tra la prestazione (non) democratica di particolari gruppi di paesi e le loro specifiche caratteristiche culturali e storiche (come, ad esempio, il Medio Oriente e la sua cultura islamica); dall’altra, la dimensione settoriale, con la stima degli effetti generati dai diversi tipi di risorse primarie. Ross individua tre meccanismi causali fondamentali che possono spiegare il legame tra ricchezza di risorse energetiche e governo autoritario:
a) L’effetto rendita - I paesi ricchi di gas, petrolio o altre risorse naturali traggono molte delle proprie entrate da tasse sui bolli, sui diritti o sulle esportazioni. Queste attività orientate alla ricerca di rendita possono essere destinate a un alleggerimento della pressione fiscale, che, altrimenti, potrebbe determinare una richiesta di maggiore responsabilità. Questo può verificarsi in tre modi. In primo luogo, attraverso un effetto tassazione. Dal momento che i governi traggono sufficienti entrate dal petrolio o da altre risorse, non hanno bisogno di imporre budget rigidi e/o tasse pesanti sui cittadini e, in questo modo, ridimensionano il controllo sull’attività di governo e rendono la pacificazione fiscale più efficace. In secondo luogo, attraverso un effetto spesa, per cui le entrate derivate dal petrolio possono essere (almeno parzialmente) usate per spese generali e per il patronato, in modo da attenuare le latenti pressioni per la democratizzazione. In terzo luogo, attraverso un effetto di formazione di gruppo: i governi possono usare il loro denaro per corrompere o prevenire la formazione di gruppi sociali indipendenti, che potrebbero tendere alla rivendicazione di diritti politici.
b) L’effetto di repressione - Questa storia (dal carattere marcatamente politico) si sviluppa come segue: la ricchezza generata dal petrolio può indurre i governi a spendere di più per la sicurezza interna, bloccando, così, le aspirazioni democratiche della popolazione. A un governo che abbia più denaro a disposizione costa meno essere autoritario, per evitare di condividere la propria rendita con la popolazione. Questa tesi trova corrispondenza nei risultati raggiunti da Collier e Hoeffler (1998), secondo i quali l’abbondanza di risorse naturali aumenta la probabilità di guerre civili, dal momento che il beneficio atteso dalla vittoria è più alto per i diversi azionisti (governi, opposizioni, partiti politici, gruppi etnici, oligarchie).
c) L’effetto di modernizzazione - La democrazia deriva da un insieme di cambiamenti politici ed economici che includono la specializzazione occupazionale, l’urbanizzazione e alti livelli di istruzione. Nessuno di questi cambiamenti si verifica facilmente in un paese caratterizzato dall’abbondanza di risorse: la forza lavoro è intrappolata nel settore energetico e non si sposta verso quello manifatturiero e dei servizi, i cittadini non sono costretti a muoversi verso le città e il fatto che non vi siano necessità economiche riduce lo sforzo di investire in capitale umano. Come effetto collaterale, è noto che la pressione democratica è inferiore quando ci sono cittadini meno istruiti e l’effetto, dunque, si rafforza. I risultati dell’analisi empirica di Ross sono coerenti con la teoria e possono essere sintetizzati come segue: in primo luogo, il petrolio e gli altri combustibili fossili (gas, carbone) danneggiano la democrazia. In secondo luogo, le risorse energetiche la inibiscono nei paesi poveri, mentre nei paesi ricchi questo legame non è statisticamente rilevante. In terzo luogo, questo legame non è una caratteristica esclusiva dell’Estremo Oriente, ma risulta valido a livello globale. In quarto luogo, tutte le risorse, comprese le ricchezze che non derivano dai combustibili fossili, ostacolano la democrazia. In quinto luogo, i canali presentati sopra, ovvero l’effetto rendita, l’effetto di repressione e quello di modernizzazione, sono supportati solo da una debole dimostrazione.
Alla fine di questa lunga analisi le mie conclusioni sono le seguenti:
1) I Governi mondiali non stanno investendo a sufficienza nelle energie rinnovabili ma sono ancora legati a filo doppio alle energie fossili e al nucleare;
2) I Governi non vogliono rendere DEMOCRATICO l’uso dell’energia; vogliono invece mantenere il controllo su noi cittadini trasferendo il potere dagli oligarchi delle energie fossili a quelli del nucleare;
3) Non basta lottare per le energie rinnovabili come sole e vento, occorre anche battersi per il decentramento energetico, perchè ogni cittadino possa produrre “con le proprie mani” l’energia che vuole, creando un nuovo modello di produzione energetico (generazione distribuita di energia) che soppianti quello attuale che è di tipo accentrato, non flessibile e costoso;
4) La rete elettrica deve trasformarsi gradualmente da rete "passiva", in cui l'elettricità semplicemente scorre dal luogo di produzione a quello di consumo, a rete "attiva" e "intelligente" (smart grid) che gestisce e regola più flussi elettrici che viaggiano in maniera bidirezionale;
5) I paesi con abbondanza di risorse hanno goduto di un tasso di crescita minore rispetto ai paesi poveri di risorse; quindi le risorse naturali non sono una benedizione per lo sviluppo economico di un paese ma una maledizione che limita la crescita e il progresso socio-economico (maledizione delle risorse naturali);
6) La qualità delle istituzioni (e il suo livello di corruzione) è un fattore decisivo nel determinare se le risorse naturali siano una benedizione o una maledizione. I risultati empirici suggeriscono anche una causalità inversa: le risorse naturali hanno proprietà antidemocratiche: la ricchezza di petrolio e minerali tende a rendere i paesi meno democratici e molte rivoluzioni sono legate alle rendite derivate dalle risorse naturali;
7) Per tutte le ragioni esposte le risorse naturali non devono essere considerate un bene di proprietà del paese in cui si trovano ma un bene dell’umanità esente da possibilità di profitto o speculazione.

giovedì 17 marzo 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Le conseguenze economiche e finanziarie della tragedia giapponese

Con questo post voglio anch’io dare la mia opinione sull’impatto economico e finanziario che Il terremoto e lo tsunami giapponese potranno avere; ovviamente quello che dirò si riferisce ad una situazione che è ancora in divenire e, pertanto, diversi numeri o stime potranno già essere superati anche solo tra qualche settimana; in ogni caso i dati di cui parlerò sono importanti perché ci danno un ordine di grandezza della portata economica degli eventi giapponesi. Per cominciare, voglio ribadire la mia solidarietà ed il mio cordoglio a tutti i giapponesi che sono stati colpiti da questa tragedia.
Fatta questa doverosa premessa, proviamo ad addentrarci nei freddi numeri, calcoli e questioni economico-finanziarie di questo cataclisma, vista anche la pessima reazione che i mercati finanziari stanno avendo negli ultimi giorni. Cercherò di procedere per punti, con la finalità di rendervi più chiare le questioni che affronterò.
1) Per cominciare, il disastro provocato dal terremoto, si inserisce in una fase delicata per l’economia giapponese perché era prevista una nuova accelerazione della crescita economica nipponica, grazie al recupero delle attività globali nel corso di quest'anno. A questo punto, credo che, anche se la congiuntura esterna si manterrà favorevole, il dissesto interno non potrà fare altro che rallentare la crescita del Giappone. Sembra che l’area interessata dal terremoto sia piuttosto ampia perchè include 6 prefetture e ha una forte presenza di industrie, pari a circa il 6% del totale del paese. L’effetto globale in termini di calo della produzione, rallentamento dei traffici commerciali, dei flussi turistici e calo dei consumi, potrebbe essere davvero significativo. L’impatto sul PIL, che è stimato da diverse case di investimento tra lo 0,3% - 1,3% (un range molto ampio che evidenzia ancora la fase di incertezza) si potrebbe trasferire anche in attese di minore crescita globale (stando ad esempio alle ultime stime di JPMorgan Chase pre-terremoto, il Giappone aveva una crescita stimata dell’1,7%, mentre quella globale si attesta nell’ordine del 3,4%). A livello di numeri, Goldman Sachs, ad esempio, ha stimato il costo complessivo dei danni agli edifici e alle strutture produttive in circa 198 miliardi di dollari.
2) Nel primo giorno di negoziazioni dopo i tragici eventi dello scorso venerdì, il listino azionario giapponese (in base all’indice Topix) ha ceduto lunedì il 7,5%, seguito il giorno successivo da un’ulteriore perdita del 10% a causa delle preoccupazioni concernenti gli impianti nucleari danneggiati dallo tsunami. Il settore finanziario, quello del petrolio e del carbone e i servizi di pubblica utilità in ambito elettrico hanno subito le flessioni maggiori. Anche i principali settori all’esportazione hanno subito gravi perdite. Ovviamente, le maggiori preoccupazioni sono legate al nucleare. Tokyo Electric Power, la società che controlla la centrale nucleare di Fukushima ha ceduto qualcosa come il 40% a causa di timori di forti ripercussioni sugli impianti. Si sono verificate diverse esplosioni negli ultimi giorni e la situazione è poco chiara in termini di danni ed effetti radioattivi. Altri impianti hanno ridotto precauzionalmente l’operatività. La situazione di incertezza sta penalizzando tutti i produttori di energia del paese, direttamente o meno coinvolti nel nucleare, ma anche del mondo. Il terremoto dell’11 marzo 2011 è stato uno dei più forti con una magnitudo di 8,9, una delle più elevate dal 1990. Al momento, non ci sono sufficienti elementi per capire i danni all’impianto nucleare di Fukushima, tuttavia le notizie stanno via via peggiorando. Questo episodio potrebbe indurre un ripensamento globale sul tema del nucleare, mentre sembrano favoriti i produttori di energie rinnovabili. La cessata o minore produzione di componenti molto specialistici del settore tecnologico potrà rallentare la produzione di altri player globali (Dell, HP, Apple, etc.). Per contro, ciò potrebbe determinare un effetto di trasferimento di produzione in altri paesi come Taiwan e Corea. Alcune aziende coreane hanno già detto di avere scorte per far fronte ad eventuali effetti di scarsità. Taiwan potrebbe intervenire per fornire tecnologia e componenti ai produttori di tablet/smartphone. Anche in questo caso gli effetti positivi non sono immediati ma potranno comportare qualche tempo per la messa a punto di nuove linee di produzione e per l’approvazione dei nuovi componenti. Non bisogna poi dimenticare che Giappone, Taiwan e Corea sono diretti concorrenti in molti settori come raffinazione, chimica, auto e acciaio. Il calo della produzione di questi settori in Giappone potrà favorire proprio i paesi asiatici concorrenti. Anche il settore finanziario potrebbe soffrire: a) le banche giapponesi potranno risentire del calo dell’attività economica, del credito e per le perdite su crediti; b) le assicurazioni per l’aumento delle richieste di rimborso. Le assicurazioni di paesi come Germania e Regno Unito potranno anche subire forti ripercussioni. Per contro sono viste positivamente le banche cinesi che sono poco aperte al contesto internazionale e i cui EPS dipendono fortemente dall’economia domestica. Anche l’India è relativamente poco esposta al Giappone e potrebbe beneficiare delle difficoltà del paese asiatico.
3) Nonostante tutto, la storia ci insegna che il tempo cura le ferite generate dagli eventi più drammatici; devo riconoscere che, rispetto a situazioni precedenti di disastro, le autorità giapponesi hanno reagito rapidamente per alleviare gli effetti avversi prodotti dal terremoto sul fronte economico e finanziario. Lunedi la Banca del Giappone ha immesso la cifra record di 15.000 miliardi di yen nei mercati monetari e ha raddoppiato le dimensioni del suo programma di acquisto di asset portando la cifra a 10.000 miliardi di yen, per un totale di 40.000 miliardi di yen, nel tentativo di stabilizzare il sistema finanziario.
4) Per fare qualche considerazione in più sugli effetti attesi possiamo analizzare cosa è accaduto all’economia e ai mercati in occasione del terremoto del gennaio 1995 che interessò le aree di Osaka e Kobe. La rilevanza economica di Osaka e Kobe fu superiore, con un impatto sul PIL di circa il 6% e una popolazione di circa 14,5 milioni di persone. L’attuale episodio interessa, tra gli altri, i distretti di Miyagi, Fukushima e Sendai, meno rilevanti dal punto di vista del contributo al PIL (3,5%) e della popolazione (circa 4,5 milioni), tuttavia l’area è molto vasta ed è importante in termini di presenza produttiva energetica e non. Anche se i due episodi non sono del tutto paragonabili e le fasi del ciclo economico differiscono, vale la pena ricordare cosa accadde nel
1995. I principali effetti furono: forte calo dell’indice mensile e della produzione, calo di Export/Import e forte apprezzamento dello yen, deterioramento della propensione al consumo, con calo dei consumi soprattutto discrezionali, e forte recupero di consumi di beni durevoli nei mesi successivi. Nel 1995 l’indice Topix è sceso per tutto il primo semestre (- 26%), ma poi è rimbalzato fortemente nell’anno successivo raggiungendo il massimo a fine giugno 1996 (+55% dai minimi di un anno prima). Le forti interrelazioni dell’economia di oggi rispetto al 1995, rendono l’effetto contagio globale dell’episodio attuale più preoccupante. Si teme che questo evento, unito ad altre situazioni che stanno condizionando il contesto, come la crisi del Medio Oriente e il rialzo del prezzo del petrolio, e la perdurante debolezza dell’area Euro, siano una miscela di eventi sfavorevoli tale da frenare la fase positiva del ciclo economico in corso. In confronto al passato recente, le valutazioni di mercato sono decisamente più favorevoli. Attualmente, le negoziazioni sul TOPIX avvengono con un rapporto prezzo/valore di libro pari a 1,0x con molte società di fatto inferiori al valore di libro. Inoltre, il rapporto prezzo/utili stimato per l’indice TOPIX si attesta sul 13-14x circa, rispetto ad una media a 20 anni di oltre 30x.
5) Come è avvenuto nel caso precedente del terremoto del 1995, l’effetto sul ciclo economico giapponese di medio-lungo termine potrebbe essere favorevole grazie ai piani di ricostruzione e alla ripresa di investimenti pubblici e privati. Analogamente a quanto si è verificato nel 1996, nel 2012 ci si attende una ripresa della propensione ai consumi, della produzione industriale e degli investimenti. Ma in base a quanto sta emergendo, l’orizzonte della ripresa potrebbe essere anche più lontano.
6) La sfavorevole posizione fiscale del Giappone, in termini di elevato livello di debito costituisce un limite all’espansione della spesa pubblica e degli investimenti infrastrutturali che saranno necessari per la ricostruzione. Il Giappone ha un debito/PIL superiore al 230% e un deficit/PIL di circa il 10%. Per contro si rileva una forte propensione al risparmio delle famiglie, che è una delle più alte al mondo, anche se in calo negli ultimi anni.
7) In area Euro gli eventi nipponici potrebbero rappresentare un deciso freno alle intenzioni della BCE di voler rialzare i tassi fin dal prossimo aprile, a meno che Trichet oltre che di erostratismo non soffra anche di masochismo.
Chiudo ringraziando il blog FINANZA MONITOR (www.finanzamonitor.blogspot.com) che ha pubblicato questo post.

domenica 13 marzo 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Condoglianze Giappone

Come tutti Voi sono rimasto profondamente scosso nel vedere le tragiche immagini provenienti dal Giappone. Di solito, quando mi occupo del Sol Levante lo faccio relativamente alla sua economia e ai suoi mercato finanziari. Stavolta invece, mi unisco silenziosamente al dolore del popolo giapponese convinto che questo fiero popolo, riuscirà a superare anche questo triste momento della sua storia.
Condoglianze Giappone...

giovedì 10 marzo 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - L'inconsistenza della politica monetaria della BCE

L'ultimo numero della mia Newsletter ha scatenato il Vostro interesse e, come spesso accade negli ultimi tempi, avete riempito di mail la mia casella di posta elettronica con domande, richieste di supporto e spiegazioni che difficilmente riuscirò ad esaudire. Voglio però tornare sull'argomento e approfittare per fornirvi qualche ulteriore dettaglio che spiega la mia attuale posizione molto critica nei confronti dell'operato di Trichet & CO.
Come sapete, la notizia degli ultimi giorni è che la BCE ha, di fatto, preannunciato un rialzo dei tassi di interesse, lasciando la stragrande maggioranza degli investitori (compreso il sottoscritto) senza parole. Nella Newsletter ho fatto un parallelo con il 2008 quando nel mese di luglio la BCE mosse al rialzo i tassi, per poi rendersi conto dell'enorme errore compiuto solo poco tempo dopo. Vi ho evidenziato che, rispetto ad allora, ci sono alcune differenze dovute ad un diverso contesto di crescita economica in cui ci troviamo oggi. In questo post voglio portarvi altri spunti di riflessione e commentare insieme a voi qualche numero.
Partiamo dal leverage: i miei lettori storici sanno quello che vado sostenendo da quando il blog è nato e cioè che gli anni che stiamo vivendo attualmente sono di "digestione" degli eccessi che il mondo sviluppato aveva ingurgitato sino al 2000 (scoppio della bolla tecnologica). In questo sboom il motore principale è deflazionistico e non inflazionistico come vuole farci credere la BCE nella sua battaglia sconclusionata contro fantomatici mulini a vento. Nel contesto di crisi economica e finanziaria che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni i prezzi dei beni e dei servizi sono stati mantenuti schiacciati verso il basso. A questo proposito ha contribuito anche il fenomeno di delocalizzazione della produzione attuato dai Paesi occidentali verso le economie emergenti.
In secondo luogo, in un contesto di sboom le aziende e le famiglie devono smaltire la "sbornia" da eccesso di debito e, effettivamente, questo processo è in corso. Il problema però è che in area Euro l'eccesso di leverage si annida proprio nei Paesi periferici (Irlanda, Portogallo e Spagna) come si vede dal primo grafico che Vi allego.



Allora, i Paesi più vulnerabili sono quelli che hanno usato di più l'effetto leva per indebitarsi; cosa provocherebbe a questi Paesi un rialzo dei tassi? La risposta è scontata; proprio recentemente, tra l'altro, il ministro del Tesoro portoghese ha sollecitato le Autorità europee ad intervenire al più presto per rafforzare i meccanismi di salvataggio poichè i tassi di interesse che il Portogallo sta pagando ai creditori che detengono il suo debito non potranno essere pagati per un periodo di tempo prolungato. Ovviamente l'orientamento espresso da Trichet riguardo un possibile rialzo dei tassi in aprile sta continuando a muovere al rialzo i tassi di mercato. Quindi tutti coloro i quali dicono che la mossa era già scontata dal mercato dicono una sciocchezza. Trichet ha dato benzina al motore, del rialzo dei tassi sui mercati obbligazionari, già acceso da alcuni mesi, grazie ai segnali di ripresa dell'economia.
E veniamo ad un secondo punto: qual'è il giusto tasso di riferimento in area Euro? Nella mia Newsletter ho segnalato come, considerando l'area Euro nel suo complesso, il tasso di riferimento dovrebbe essere più basso (allo 0.20%-0.25%) secondo quanto suggerisce un'importante teoria, cioè la Taylor Rule. Se poi consideriamo i Paesi evidenziando i periferici (Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo) rispetto alla Germania, dal grafico in basso si vede come nei primi il tasso di riferimento dovrebbe essere a
-4.6% (cioè addirittura negativo!), mentre in Germania dovrebbe essere al 4.5%! Pazzesco no?!



Com'è possibile in una situazione di estrema eterogeneità, come quella attuale, pretendere di condurre una politica monetaria comune?! E poi con la prosopopea di "Erostrato Trichet" che vede solo la Core inflation come l'unico dei mali del Vecchio Continente. Ragazzi questa è roba vecchia, vetusta come il 99% dei politici che ci ritroviamo in Italia! Ma dalla BCE si "tuona" che "le banche centrali in giro per il mondo si muoveranno in modo coordinato per sconfiggere il serpente, il male dell'inflazione". Sicuro! Infatti la Bank of England ha appena deciso di non toccare i tassi di interesse nonostante la break-even inflation sia intorno al 4%, così come aveva fatto a giugno del 2009 quando c'era stato un altro allungo della break-even inflation al 4.5% ma, in modo lungimirante, non si è fatta prendere la mano come sta facendo la BCE (per il momento solo con dichiarazioni hawkish).



Cosa dire infine dell'ultimo grafico che vi propongo?



Proprio nei Paesi più vulnerabili la maggior parte delle persone (settore privato) ha aperto mutui a tasso variabile e un rialzo dei tassi provocherebbe un aumento della rata da pagare; di fatto l'effetto già lo si vede perchè i tassi di mercato stanno già salendo ma, gli annunci della BCE non fanno che peggiorare ulteriormente la situazione.
Concludendo, la politica monetaria della BCE così come viene condotta serve a poco e gli annunci dei suoi esponenti sono quanto di più deleterio ci si possa augurare per il delicato scenario congiunturale che stiamo vivendo.

domenica 6 marzo 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

E' in uscita la Financial Markets LAB Newsletter; ho intitolato questo numero Erostrato. Scoprite perchè...

mercoledì 2 marzo 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Analisi tecnica dell'indice HUI

In questo breve post voglio analizzare l'indice HUI che sintetizza, da un lato, l'andamento delle principali azioni aurifere e, dall'altro, rappresenta anche un importante indicatore a livello di analisi intermarket perchè permette di capire i legami tra gli andamenti delle diverse classi di attivo (azioni, obbligazioni, materie prime). Questo indice azionario ha egregiamente anticipato, ad esempio, la ripartenza del bull market nel mondo azionario visto che ha fatto un importantissimo minimo alcuni mesi prima di quello fatto segnare dalle borse mondiali nel marzo del 2009 prima di inanellare una poderosa salita tutt'ora in corso.
All'inizio del 2011 abbiamo assistito ad una forte rotazione settoriale, di stili e di capitalizzazioni e anche l'indice Hui aveva fornito segnali di debolezza che stavano mettendo in discussione il trend di medio-lungo periodo.
Queste indicazioni, al momento, paiono del tutto rientrate e, come si vede dal grafico che vi allego, sembra che la tendenza primaria al rialzo sia stata pienamente ristabilita, tranquillizzandoci anche sul versante azionario nel complesso. In altre parole, se l'indice Hui non ha ancora invertito la tendenza, non ci ha ancora evidenziato la possibilità che l'azionario globale possa aver concluso al rialzo il bull market ciclico. Voglio tuttavia accendere nella mente degli amici lettori una lampadina rossa di allerta proprio proponendovi la visione del grafico in questione ed evidenziando come i corsi, nel momento in cui scrivo, sembrano davvero tirati al rialzo. Per quanto tempo ancora potrà durare la salita e la tenuta della tendenza di lungo termine? Un mese, tre mesi o quanto ancora?! Io credo proprio che si tratti di una questione di qualche mese, ipotizzando che, molto probabilmente, avremo una seconda parte dell'anno da vivere in difesa per quanto riguarda i mercati azionari; la correzione attuale invece, causata dalla crisi libica, mi sembra rappresenti ancora una occasione di acquisto di rischio azionario.

mercoledì 23 febbraio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Crisi libica, crescita economica ed Eni..

Negli ultimi giorni, come è accaduto in momenti di tensione sui mercati finanziari, la mail del mio blog si è riempita di decine di richieste di approfondimento da parte degli amici lettori. Ovviamente, poiché non posso rispondere a tutti per questioni di tempo, proverò a scrivere questo post per addentrarmi tra le pieghe della crisi libica e cercare di capire quali potrebbero essere gli impatti sulla ripresa economica in atto. Ci tengo a precisare però che non vorrei che il mio post risulti freddo e spietato, in un momento in cui migliaia di persone stanno morendo combattendo contro uno spietato dittatore. Al popolo libico va, al di la di tutto, tutta la mia solidarietà.
Tornando invece agli aspetti economici della faccenda, ovviamente, la mia memoria va alle precedenti crisi petrolifere e in particolare a quelle dei primi anni settanta e ottanta. La prima domanda che mi avete posto è se un aumento dei prezzi del petrolio (causato in questa situazione proprio dai disordini in Libia) può causare una ricaduta nella recessione globale. La regola base che proviene da molti modelli di tipo econometrico che ho studiato e dall’esperienza del passato (che è quella più importante!) è che una salita del 20% dei prezzi toglie circa un punto percentuale alla crescita mondiale. Ma questa affermazione è troppo semplicistica! La realtà è che l’effetto finale di una variazione nei prezzi del petrolio dipende dal comportamento di consumatori e produttori di petrolio e pertanto è difficilmente prevedibile. Non solo, in un contesto come quello attuale, l’effetto dipende da paese a paese; così, un aumento dei prezzi del greggio peserà maggiormente nei paesi dove l’inflazione headline è già alta (come nel Regno Unito).
La seconda questione che mi avete chiesto di trattare è l’impatto su uno dei titoli più importanti del nostro listino: Eni (perché è la major più esposta nel Nordafrica). Come sapete, la crisi libica ha comportato la chiusura temporanea del gasdotto GreenStream, attraverso il quale arriva normalmente in Italia il gas per soddisfare circa il 10% circa dei consumi nazionali. In realtà, pur restando l'incertezza legata all'esposizione del gruppo al Nordafrica e al Medioriente e quindi ai timori di un contagio della crisi anche ad altri paesi, paradossalmente Eni, se lo stop in Libia non dovesse durare a lungo, potrebbe anche avvantaggiarsene in termini di margini perché il prezzo del petrolio è salito in questi giorni. Tuttavia a preoccupare gli investitori in questo momento è la variabile tempo. Per quanto tempo, infatti, Eni sarà costretta a non utilizzare il gasdotto dal quale sono transitati 9,4miliardi di metri cubi di gas nel 2010, l'11% dei consumi nazionali, pari a una produzione annuale di olio equivalente di 240.000 barili al giorno?
Oggi ero al telefono con un analista del settore Oil che mi raccontava come calcolare in questo momento l'impatto della crisi libica sui conti dell'Eni, sia molto difficile; secondo questo analista l'impatto potrebbe essere pari all'6-8% dell'Ebit del gruppo, se si assume che non arrivi più petrolio e gas dalla Libia almeno per un anno. Ovviamente si tratta di uno scenario molto pessimistico. A livello tecnico e da umile operatore di mercato valuterò un ingresso in Eni se i corsi dovessero raggiungere area 16euro ma avendo sempre nella tasca uno stop loss!