Il report gratuito di Financial Markets LAB!

Si chiama Financial Markets LAB Newsletter ed è il mio report GRATUITO di ricerca ed analisi in materia di investimenti sui mercati finanziari contenente notizie, commenti, curiosità ed approfondimenti sull'andamento dei principali mercati finanziari.

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giovedì 1 marzo 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Ciao Lucio!

Ciao Lucio, porterò sempre con me Anna e Marco, stella di mare, cara, la sera dei miracoli, disperato erotico stomp, futura e tantissime altre tue canzoni...

domenica 26 febbraio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Segnali di vita

Negli Usa uno dei settori che negli ultimi anni hanno sofferto maggiormente è senz'altro quello immobiliare.
Nonostante i dubbi espressi di recente da numerosi economisti qualche segnale di ripresa lo si vede; un esempio è rappresentato da questo grafico che continua a fornire segnali confortanti; si tratta del National Association of home builders index che ci fornisce un'indicazione riguardante il sentiment dei costruttori americani che continua a migliorare come si vede dal chart che vi allego:

domenica 5 febbraio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Vicini ad un top intermedio per l'equity?


Oggi vi propongo questo studio (thank to McClellan) che confronta l'andamento delle posizioni del CoT su Euro Dollaro con l'azionario Usa; ebbene, anche questo studio conferma l'ipotesi che siamo vicini ad un top per l'equity (in febbraio) che dovrebbe essere seguito da una fase di assestamento neutro-negativa (non di inversione ribassista) che dovrebbe rappresentare l'anticamera per una nuova spinta rialzista che dovrebbe partire da giugno.

sabato 4 febbraio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Red alert!

Diversi degli indicatori tecnici che abitualmente seguo per prendere decisioni di investimento cominciano a segnalarmi degli eccessi rialzisti; guardate il grafico seguente (many thanks to Bespoke) che mostra che la percentuale di titoli dell'indice S&P500 al di sopra della media mobile a 50 giorni è arrivato ad un livello (86%) che comincia ad essere esagerato per l'evoluzione nel breve termine. Allo stesso tempo, però, questo indicatore di "ampiezza" ci indica che il movimento di rialzo in atto è corale e non riguarda solamente pochi titoli.
Se la prossima settimana si continuerà a salire inizierò a chiudere alcune posizioni tattiche lunghe su azioni prendendo beneficio sia in Usa che in Europa.

martedì 31 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Un parallelo interessante

Guardate questo grafico che confronta l'andamento dell'indice S&P500 nel 1974-75 e oggi; se la storia dovesse ripetersi saremmo vicini ad una ripresa del trend ribassista. Questa è una delle tantissime ragioni che mi vede venditore di azioni Usa se l'indice azionario americano dovesse arrivare in zona 1350-1370. Questo con la finalità di ridimensionare l'investito azionario ed il rischio del mio portafoglio.

lunedì 30 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Chi ha in mano la carta?

Posto al volo questo interessante chart che mostra chi possiede la carta finanziaria in giro per il mondo; come si vede le economie occidentali sono quelle che la fanno da padrone rispetto alle economie emergenti; ma in un mondo in cui c'è un eccesso di carta questo è veramente un aspetto positivo??

domenica 29 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Interessante divergenza

Guardate questo grafico!
Anche dai consumi di petrolio è ben visibile la differenza di forza esistente tra le economie decadute e quelle emergenti; Usa, Europa e Giappone stanno consumando sempre meno (linea rossa) a causa del rallentamento economico che sta li attanagliando; i mercati emergenti invece continuano a consumare oro nero e a dicembre la domanda è arrivata sui massimi di sempre (linea blu).
E' l'ennesima conferma che i mercati azionari delle economie emergenti devono rappresentare una quota stabile di un portafoglio ben diversificato. Non solo! Non bisogna limitarsi all'acquisto dei mercati azionari emergenti più importanti (BRIC) ma valutare anche le economie emergenti di nicchia (le cosidette Emerging frontiers).

sabato 28 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Droga!

Guardate l'impennata  in termini dimensionali che stanno facendo i bilanci delle principali banche centrali in giro per il mondo (Cina, Usa, area Euro e Giappone)! Il riacquisto di bond a basso rating e di debito sovrano di Paesi in difficoltà sta continuando a far funzionare la pressa stampa soldi delle banche centrali.
Dove sta affluendo tutta la liquidità? Beh sui mercati finanziari direi visto che sta salendo tutto in queste ultime settimane: equity su, oro su, bond su, corporate e high yield su. La liquidità, come una droga sta inebriando il sistema facendolo scollare per l'ennesima volta dalla realtà! Ma per quanto tempo durerà?

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - 10 domande per il 2012

Ecco la seconda parte delle 10 domande! Buona lettura!

domenica 22 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Crash Confidence Index

Uno degli indicatori che tengo sotto controllo abitualmente è quello che vi presento nel chart qui sotto; viene elaborato dalla Yale School of Management ed è un indicatore di sentiment composito molto importante; più basso è e tanto meno sono quelli (investitori istituzionali e privati) che non si aspettano un crollo dei corsi azionari; come la maggior parte degli indicatori di sentiment funge da indicatore contrarian nel senso che quando è molto alto c'è troppa compiacenza nei confronti delle azioni mentre quando è molto basso c'è troppa paura nell'acquistare azioni. Ebbene i livelli raggiunti da questo indicatore sono incoraggianti e lasciano ben sperare per i rendimenti della classe azionaria nei prossimi mesi.

sabato 14 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - 10 domande per il 2012

E' in uscita il primo numero del 2012 della Financial Markets LAB Newsletter; risponderò a 10 domande che riguardano i mercati finanziari e l'economia per l'anno appena cominciato; nel rispondere a questi quesiti voglio darvi la mia opinione riguardo quello che dobbiamo attenderci e come dobbiamo orientare i nostri investimenti nei prossimi mesi. Buona lettura!

venerdì 6 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Outlook 2012: cosa ci attende?

Ed ecco alcuni punti salienti espressi nell'ambito di conf call che ho ascoltato ieri mattina:

Nomura: l'equity strategy team vede una crescita degli eps americani del 6% (a 103 $); per fine 2012 il tasso dei treasury decennali Usa dovrebbe essere al 2.25%; la crescita del Gdp dovrebbe attestarsi sul 2.5% per quest'anno con un'inflazione in salita dall'1.2% all'1.6%. Il target di fine anno dello S&P500 è 1400.

Cumberland Advisors: la politica monetaria della Fed dovrebbe essere di supporto per tutto il 2012; l'eps delle azioni Usa dovrebbe attestarsi sui 100 $; i profitti delle corporate Usa rappresentano una fetta molto importante del Pil statunitense e non si vedono elementi per pensare altrimenti visto che gli elevati livelli di disoccupazione tengono basso il costo del lavoro, l'inflazione è moderata e il costo del denaro è estremamente basso. Il target di fine 2012 per lo S&P500 è 1350-1400.

mercoledì 4 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Outlook 2012: cosa ci attende?

Finite le vacanze eccomi di nuovo ai posti di combattimento pronto per un nuovo anno denso di incognite; ho iniziato una serie di conf call con le principali case di investimento internazionali e colgo l'occasione per riportarvi il loro outlook 2012; vediamo le prime due che ho avuto modo di ascoltare questa mattina:
Bank of America: gli strategist prevedono una crescita globale modesta nel 2012; la soluzione dei problemi dell'area euro passa per una modifica dei trattati che sorreggono la moneta unica, mentre l'EFSF così come è stato concepito non è destinato a produrre effetti risolutivi; infine l'euro dollaro che, per la fine del 2012 è visto tornare a 1.40.
Goldman Sachs: la recessione dovrebbe colpire in modo diverso i paesi dell'area euro e dovrebbe essere più acuta nei paesi periferici; l'azionario è visto cedente nella prima parte del 2012 e poi successivamente in recupero nella seconda parte dell'anno sino ai livelli di inizio 2012. Per la crisi della zona euro la politica rappresenta la variabile più importante che potrebbe dare una svolta positiva; infine l'euro dollaro che è visto a 1.40 per la fine del 2012.
Per il momento è tutto.

domenica 1 gennaio 2012

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Il discorso di fine 2011 del Presidente della Repubblica

Dedico il primo post del mio blog al discorso di Giorgio Napolitano, che mi ha colpito per lucidità, contenuti e capacità di sintesi. Penso che il testo sia da leggere con attenzione e non sia da ascoltare nel bel mezzo di una festa di fine anno quando hai il bicchiere dello spumante in mano; per questo lo ripropongo qui in versione integrale.

Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Palazzo del Quirinale, 31/12/2011
Buona sera e buon anno. E innanzitutto, grazie. E' un grazie che debbo a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese, per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia recato per celebrare la nascita dell'Italia unita e i suoi 150 anni di vita. Grazie per la partecipazione sentita e significativa a quelle celebrazioni, per lo spirito di iniziativa che si è acceso nelle più diverse istituzioni e comunità, accompagnando uno straordinario risveglio di memoria storica e di mobilitazione civile, e portando le celebrazioni del Centocinquantenario a un successo, per quantità e qualità, superiore anche alle previsioni più ottimistiche.
Il mio è, in sostanza, un grazie per avermi trasmesso nuovi e più forti motivi di fiducia nel futuro dell'Italia. Che fa tutt'uno con fiducia in noi stessi, per quel che possiamo sprigionare e far valere dinanzi alle avversità : spirito di sacrificio e slancio innovativo, capacità di mettere a frutto le risorse e le riserve di un'economia avanzata, solida e vitale nonostante squilibri e punti deboli, di un capitale umano ricco di qualità e sottoutilizzato, di un'eredità culturale e di una creatività universalmente riconosciute.
Non mi nascondo, certo, che nell'animo di molti, la fiducia che ho sentito riaffiorare e crescere nel ricordo della nostra storia rischia di essere oscurata, in questo momento, da interrogativi angosciosi e da dubbi che possono tradursi in scoraggiamento e indurre al pessimismo. La radice di questi stati d'animo, anche aspramente polemici, è naturalmente nella crisi finanziaria ed economica in cui l'Italia si dibatte.
Ora, è un fatto che l'emergenza resta grave : è faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto pesantemente terreno ; i nostri Buoni del Tesoro - nonostante i segnali incoraggianti degli ultimi giorni - restano sotto attacco nei mercati finanziari ; il debito pubblico che abbiamo accumulato nei decenni pesa come un macigno e ci costa tassi di interesse pericolosamente alti. Lo sforzo di risanamento del bilancio, culminato nell'ultimo, così impegnativo decreto approvato giorni fa dal Parlamento, deve perciò essere portato avanti con rigore. Nessuna illusione possiamo farci a questo riguardo. Ma siamo convinti che i frutti non mancheranno. I sacrifici non risulteranno inutili. Specie se l'economia riprenderà a crescere : il che dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e nazionale.
Parlo dei sacrifici, guardando specialmente a chi ne soffre di più o ne ha più timore. Nessuno, oggi - nessun gruppo sociale - può sottrarsi all'impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell'Italia. Dobbiamo comprendere tutti che per lungo tempo lo Stato, in tutte le sue espressioni, è cresciuto troppo e ha speso troppo, finendo per imporre tasse troppo pesanti ai contribuenti onesti e per porre una gravosa ipoteca sulle spalle delle generazioni successive.
Nella seconda metà del Novecento, il benessere collettivo è giunto a livelli un tempo impensabili portando l'Italia nel gruppo delle nazioni più ricche. Ma a partire dagli anni Ottanta, la spesa pubblica è cresciuta in modo sempre più incontrollato, e ormai insostenibile. E c'è anche chi ne ha tratto e continua a trarne indebito profitto : a ciò si legano strettamente fenomeni di dilagante corruzione e parassitismo, di diffusa illegalità e anche di inquinamento criminale. Né, quando si parla di conti pubblici da raddrizzare, si può fare a meno di mettere nel mirino l'altra grande patologia italiana : una massiccia, distorsiva e ingiustificabile evasione fiscale. Che ci si debba impegnare a fondo per colpire corruzione ed evasione fiscale, è fuori discussione. Sapendo che è un'opera di lunga lena, che richiede accurata preparazione di strumenti efficaci e continuità : ed è quanto si richiede egualmente per un impegno di riduzione delle disuguaglianze, di censimento delle forme di ricchezza da sottoporre a più severa disciplina, di intervento incisivo su posizioni di rendita e di privilegio.
Ma mentre è giusto, anzi sacrosanto, fare appello perché si agisca in queste direzioni, è necessario riconoscere come si debba senza indugio procedere alla puntuale revisione e alla riduzione della spesa pubblica corrente : anche se ciò comporta rinunce dolorose per molti a posizioni acquisite e a comprensibili aspettative.
Per procedere con equità si deve innanzitutto stare attenti a non incidere su già preoccupanti situazioni di povertà, o a non aggravare rischi di povertà cui sono esposti oggi strati più ampi di famiglie, anche per effetto della crescita della disoccupazione, soprattutto giovanile. Ma più in generale occorre definire nuove forme di sicurezza sociale che sono state finora trascurate a favore di una copertura pensionistica più alta che in altri paesi o anche di provvidenze generatrici di sprechi.
Bisogna dunque ripensare e rinnovare le politiche sociali e anche, muovendo dall'esigenza pressante di un elevamento della produttività, le politiche del lavoro : per la fondamentale ragione che il mondo è cambiato, che l'epicentro della crescita economica - e anche di quella demografica - si è spostato lontano dall'Europa, e non solo il nostro paese, ma il nostro continente vedono ridursi il loro peso e i loro mezzi, e debbono rivedere il modo di concepire e distribuire il proprio benessere, e concentrare i loro sforzi nel guadagnare nuove posizioni e opportunità nella competizione globale. Senza mettere in causa la dimensione sociale del modello europeo, il rispetto della dignità e dei diritti del lavoro.
Mi si consenta una piccola digressione personale : vengo da una lontana, lunga esperienza politica concepita e vissuta nella vicinanza al mondo del lavoro, nella partecipazione alle sue vicende e ai suoi travagli. Mi sono formato, da giovane, nel rapporto diretto, personale con la realtà delle fabbriche della mia Napoli, con quegli operai e lavoratori. E' un sentimento e un'emozione che ho visto rinnovarsi in me ogni volta che ho visitato da Presidente una fabbrica, incontrandone le maestranze. Comprendo dunque, e sento molto, in questo momento, le difficoltà di chi lavora e di chi rischia di perdere il lavoro, come quelle di chi ha concluso o sta per concludere la sua vita lavorativa mentre sono in via di attuazione o si discutono ancora modifiche del sistema pensionistico. Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell'Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale.
Non è stato forse così negli anni della ricostruzione industriale, dopo la liberazione del paese? Non è stato forse così in quel terribile 1977, quando c'era da debellare un'inflazione che galoppava oltre il 20 per cento e da sconfiggere l'attacco criminale quotidiano e l'insidia politica del terrorismo brigatista?
Guardiamo dunque con questa consapevolezza alle grandi prove che abbiamo davanti : come superare i rischi più gravi di crisi finanziaria per il nostro paese, e come reagire alle minacce incombenti di recessione. L'Italia può e deve farcela ; la nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa.
Rigore finanziario e crescita. Crescita più intensa e unitaria, nel Nord e nel Sud, da mettere in moto con misure finalizzate alla competitività del sistema produttivo, all'investimento in ricerca e innovazione e nelle infrastrutture, a un fecondo dispiegarsi della concorrenza e del merito. E' a queste misure che ha annunciato di voler lavorare il governo, nel dialogo con le parti sociali e in un rapporto aperto col Parlamento. Obbiettivo di fondo : più occupazione qualificata per i giovani e per le donne.
Si è diffusa, ormai, la convinzione che dei sacrifici siano inevitabili per tutti : ma la preoccupazione maggiore che emerge tra i cittadini, è quella di assicurare un futuro ai figli, ai giovani. E' questo obbiettivo che può meglio motivare gli sforzi da compiere : è questo l'impegno cui non possiamo sottrarci.
Perseguire questi obbiettivi, uscire dalle difficoltà in cui non solo noi ci troviamo è impossibile senza un più coerente sforzo congiunto al livello europeo. E' comprensibile che anche in Italia si manifesti oggi insoddisfazione per il quadro che presenta l'Europa unita. Ma ciò non deve mai tradursi in sfiducia verso l'integrazione europea.
Quel che abbiamo costruito, insieme, tenacemente, è stato decisivo per garantirci sempre di più pace e unità nel nostro continente, progresso in ogni campo, crescente benessere sociale, salvaguardia e affermazione nel mondo dei nostri comuni interessi e valori europei.
E oggi, ben più di cinquant'anni fa, solo uniti potremo ancora progredire e contare come europei in un quadro mondiale radicalmente cambiato. All'Italia tocca perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una più conseguente integrazione europea, e non indietro verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali. Occorrono senza ulteriori indugi scelte adeguate e solidali per bloccare le pressioni speculative contro i titoli del debito di singoli paesi come l'Italia, perché il bersaglio è l'Europa, ed europea dev'essere la risposta.
Risposta in termini di stabilità finanziaria e insieme di rilancio dello sviluppo. E non ci siamo. Particolarmente sottovalutata è la prospettiva della recessione, con tutte le sue conseguenze. In quanto all'Italia, è tempo che da parte di tutti in Europa si prendano sul serio e si apprezzino le dimostrazioni che il nostro paese ha dato e si appresta a dare, pagando prezzi non lievi, della sua adesione a principi di stabilità finanziaria e di disciplina di bilancio, nonché del suo impegno per riforme strutturali volte a suscitare una più libera e intensa crescita economica. Abbiamo solo da procedere nel cammino intrapreso, anche per far meglio sentire, in seno alle istituzioni europee - in condizioni di parità - il nostro contributo a nuove, meditate decisioni ed evoluzioni dell'Unione.
In questo senso sta svolgendo il suo mandato il governo Monti, la cui nascita ha costituito il punto d'arrivo di una travagliata crisi politica di cui il Presidente del Consiglio, on. Berlusconi, poco più di un mese fa, ha preso responsabilmente atto. Si è allora largamente convenuto che il far seguire precipitosamente, all'apertura della crisi di governo, uno scioglimento anticipato delle Camere e il conseguente scontro elettorale, avrebbe rappresentato un azzardo pesante dal punto di vista dell'interesse generale del paese. Di qui è venuto quel largo sostegno in Parlamento al momento della fiducia al governo, con una scelta di cui va dato merito a forze già di maggioranza e già di opposizione.
E' importante ora che l'Italia possa contare su una fase di stabilità e di serenità politica. Ciò non toglie che ogni partito mantenga la sua fisionomia e si caratterizzi in Parlamento con le sue proposte rispetto all'azione che l'esecutivo deve portare avanti. Soprattutto, un vasto campo è aperto per l'iniziativa dei partiti e per la ricerca di intese tra loro sul terreno di riforme istituzionali da tempo mature. Queste sono necessarie anche per creare condizioni migliori in vista di un più costruttivo ed efficace svolgimento della democrazia dell'alternanza nello scenario della nuova legislatura dopo il ritorno alle urne.
Mi auguro che i cittadini guardino con attenzione, senza pregiudizi, alla prova che le forze politiche daranno in questo periodo della loro capacità di rinnovarsi e di assolvere alla funzione insostituibile che gli è propria di prospettare e perseguire soluzioni per i problemi di fondo del paese. Non c'è futuro per l'Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica.
Solo così ci porteremo, nei prossimi anni, all'altezza di quei problemi di fondo che sono ardui e complessi e vanno al di là di pur scottanti emergenze. Avvertiamo quotidianamente i limiti della nostra realtà sociale, confrontandoci con la condizione di quanti vivono in gravi ristrettezze, con le ansie e le incertezze dei giovani nella difficile ricerca di una prospettiva di lavoro. E insieme avvertiamo i limiti del nostro vivere civile, confrontandoci con l'emergenza della condizione disumana delle carceri e dei carcerati, o con quella del dissesto idrogeologico che espone a ricorrenti disastri il nostro territorio, o con quella di una crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare.
Ci si pongono dunque acute necessità di scelte immediate e di visioni lungimiranti. Occorre una nuova "forza motivante" perché si sprigioni e operi la volontà collettiva indispensabile ; occorrono coraggio civile e sguardo rivolto "con speranza fondata verso il futuro". Questo ci hanno detto nei giorni natalizi alte voci spirituali. Esse si sono in effetti rivolte al più vasto mondo in cui si collocano i travagli della nostra Italia e della nostra Europa. Un mondo nel quale sono emerse di recente nuove correnti e forze portatrici di aspirazioni alla libertà e alla giustizia, ma anche difficoltà e tensioni, e ancora feroci repressioni. Mentre restano aperti antichi focolai di contrapposizione e di conflitto, e si manifestano ciechi furori religiosi, fino a dar luogo a orribili stragi di comunità cristiane.
L'Italia non può restare, e non resta, estranea a ogni possibile iniziativa di pace e umanitaria : come dice la nostra partecipazione - anche con dolorosi sacrifici di giovani vite - a quelle missioni militari e civili internazionali che vedono migliaia di nostri connazionali farsi onore. Nel salutarli e ascoltarli in occasione del Natale, ho colto accenti confortanti di alto senso di responsabilità e di forte vocazione al servizio del bene comune.
Sono accenti che colgo, qui in Italia, in tante occasioni di incontro con le molteplici espressioni dell'universo della solidarietà, del volontariato, dell'impegno civile. Sono accenti che trovo in lettere toccanti che mi vengono indirizzate da persone anziane, da giovani e ragazzi, da uomini e donne che raccontano i loro propositi operosi e le loro esperienze. Lasciatemi dunque ripetere : la fiducia in noi stessi è il solido fondamento su cui possiamo costruire, con spirito di coesione, con senso dello stare insieme di fronte alle difficoltà, dello stare insieme nella comunità nazionale come nella famiglia.
E allora apriamoci così al nuovo anno : facciamone una grande occasione, un grande banco di prova, per il cambiamento e il nuovo balzo in avanti di cui ha bisogno l'Italia.

A voi tutti, con affetto, buon 2012 !

sabato 31 dicembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Statistiche per il 2012

L'ultimo post del 2011 lo utilizzo per fare due cose; innanzitutto, ringraziare le centinaia di lettori che mi hanno seguito in questo 2011 tumultuoso; il vostro affetto mi ha permesso di consolidare l'idea che ruota attorno al progetto Financial Markets LAB e mi ha fornito nuovi spunti di riflessione sia per i post scritti che per i numeri della Newsletter. In secondo luogo, voglio fornirvi alcuni numeri relativi alla borsa Usa come spunto di riflessione per l'inizio del 2012:
1) 14 degli ultimi15 anni pre elettorali hanno seguito la direzione che il mercato ha intrapreso nel primo mese dell'anno (January effect); il mese di gennaio, pertanto, rimane un test importante per tastare il polso delle attività rischiose;

2) Dal 1950 ad oggi tutte le volte che l'indice S&P500 ha riportato un risultato negativo in gennaio, è iniziato o è proseguito un bear market, una correzione del 10% o, nella migliore delle ipotesi, un mercato laterale;

3) 12 degli utlimi 15 anni pre elettorali hanno rispettato la direzione che il mercato azionario aveva intrapreso nei primi 5 giorni dell'anno;

4) il gennaio 2009 ha rappresentato il peggior gennaio di sempre in termini di andamento per l'indice S&P500.
A tutti gli amici del blog rinnovo il mio sincero augurio di buon 2012!

sabato 24 dicembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

E' partito il rally di Natale? E' cambiato lo scenario di fondo sui mercati finanziari?
A queste domande cerco di rispondere nel nuovo numero appena uscito della ormai mitica Financial Markets LAB Newsletter

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - AUGURI!

Auguro a tutti i Lettori del Blog di trascorrere un sereno Natale e che il 2012 sia un anno pieno di sorprese positive!
Buon Natale e Buon 2012!!!

mercoledì 7 dicembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Stagionalità

Sto ultimando un nuovo numero della Financial Markets LAB Newsletter che uscirà a breve; nel frattempo posto qualche statistica storica riguardo il mese di dicembre che mostra come sia confermata la tradizione positiva per l'azionario soprattutto quando il mese precedente (novembre) è stato negativo. I dati sono relativi alle azioni Usa, ma, ovviamente, hanno validità generica per formulare un giudizio di insieme sull'asset class equity.


Ovviamente, al di la della curiosità delle statistiche storiche, che, come sapete, guardo sempre con estremo interesse, il mio giudizio sull'azionario rimane sempre estremamente prudente.
Non perdete pertanto la mia prossima Newsletter.

mercoledì 9 novembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Economia di guerra

Lavoro oramai da qualche lustro sui mercati finanziari e posso affermare che questo inizio di novembre è stato uno dei periodi più brutti che abbia mai vissuto come operatore, come investitore e, soprattutto, come italiano.

Gli asset italiani sono sotto attacco e questo fatto è chiaramente sotto gli occhi di tutti; ai confini dell’impero romano le orde barbariche stanno premendo per l’invasione. Si perché per chi non lo ha ancora capito siamo in guerra, un’economia di guerra; una guerra combattuta senza sparare un solo colpo di arma da fuoco ma pur sempre una guerra estremamente spietata. Il fronte è quello economico-finanziario, dei nostri risparmi, di denaro accumulato spesso con sacrifici e investito in titoli di stato italiani considerati sicuri.
Purtroppo, in un'economia di guerra di sicuro non c’è più nulla (a parte l'oro); dov’è lo strumento finanziario risk free? Dov’è il tasso privo di rischio della Teoria del Portafoglio di Markovitz che abbiamo studiato all’università? Non esiste più: è questa la dura realtà con cui noi investitori dobbiamo confrontarci.
In questa guerra, poi i nostri nemici sono dietro l’angolo come cecchini; si confondono con chi dovrebbe essere tuo alleato e invece rema contro pugnalandoti alle spalle. Come ad esempio la coppia Merkel-Sarkozy che, ammantando il loro agire con la scusa di difendere l’euro, ci stanno affossando perchè la verità è che pensano solamente all'interesse della propria parrocchietta. Che dire ad esempio dei nuovi parametri che le banche europee dovrebbero rispettare e dei capitali necessari? Mi sarei atteso che le banche messe peggio fossero quelle più piene di titoli greci (quindi le banche francesi e tedesche) e che pertanto, fossero loro a necessitare di maggiori capitali; e invece no; l’accoppiata Merkel-Sarkozy è riuscita a far passare il principio che impone un maggiore approvvigionamento di capitale fresco proprio alle banche italiane.
Non è un rompicapo ma lo sembra: ci sono quattro banche italiane, valgono 22 miliardi in totale ed entro sette mesi devono trovarne altri 14,77 se non vogliono finire in braccia indesiderate (in ordine decrescente di chance la mano pubblica, il fondo Efsf, un concorrente). Entro giugno 2012 l’enigma va risolto, perché l’Eba, in combutta con le lobby creditizie francesi e tedesche, ha stabilito le nuove misure di rafforzamento patrimoniale penalizzando fortemente gli istituti italiani più tradizionali; e cosa dire di Christine Lagarde, che si permette di parlare di mancanza di credibilità dell’Italia, che è senz’altro un affermazione vera, ma che detta dalla Lagarde suona paradossale. Evidentemente ha ancora qualche difficoltà a dismettere i suoi recenti panni di ministro economico di un Paese che sotto la sua guida ha accumulato un deficit doppio di quello italiano, con le banche francesi che si riempivano di titoli pubblici altrui, greci soprattutto.
Per aiutarla a essere più prudente nei suoi giudizi le consiglio di dare un’occhiata ad alcuni dati: per il 2010 il rapporto deficit/Pil dell’Italia è stato del 4,6%, quello della Francia è stato invece del 7,1%. Tra il 2008 e il 2010 in Italia il rapporto debito/pil è inoltre cresciuto di 12,7 punti percentuali, contro i 14 della Francia.
Cosa dire poi della nostra classe dirigente?! Sono convinto che la maggior parte di questa gente (politici in testa) verrà spazzata via da questa tempesta sia essa al governo o all’opposizione perché si sta rivelando totalmente incapace di gestire questa grave situazione. I partiti poi, sono impegnati a difendere il proprio consenso elettorale invece di salvaguardare gli interessi del paese a cui appartengono.
Mentre la curva dei rendimenti dei titoli di stato italiani si inverte (detto in soldoni, un titolo a breve scadenza rende di più di un titolo a lunga scadenza) i politici italiani si azzuffano nelle varie trasmissioni televisive incolpandosi a vicenda della crisi economica; a questa situazione, dal mio punto di vista c’è solo una risposta: un governo tecnico che metta i conti al sicuro della zattera italiana dando subito corso alle riforme lacrime e sangue e che definisca una nuova legge elettorale. Solo un governo tecnico potrà avere la capacità di ragionare "fuori dagli schemi" lobbystici dei partiti tradizionali affrontando alla radice i problemi economici più urgenti. Nella situazione di queste ore il tempo diventa la variabile principale di cui tener conto; non ci sono se o non ci sono ma. Gli investitori italiani hanno bisogno di fatti e immediatamente per mettere al sicuro i propri risparmi.
La spirale del debito italiano si sorregge su tre elementi: tassi di interesse di mercato, tasso di crescita nominale e avanzo primario; ebbene per mantenere un rapporto debito/pil stabile (al 120%) a questi livelli di tasso di mercato (7.5%) occorrerebbe una crescita dell’avanzo primario del 6% ma questo ipotizzando una crescita ottimistica del 2.5%; se invece ipotizzassimo una crescita nulla (come è piu probabile in un contesto di forte rallentamento come quello attuale) sarebbe necessario un avanzo primario del 9% solo per mantenere il rapporto debito pil stabile al 120%. Queste due ipotesi sono visibili nei due grafici che vi allego.



Se poi aggiungiamo le considerazioni che tutte le casse di compensazione e garanzia stanno aumentando i margini sui titoli di stato italiani e che sull’interbancario un amico tesoriere stamattina mi confermava una situazione che si trascina da settimane e cioè che le banche non si prestano più denaro tra loro perché non si fidano l’una dell’altra, allora il quadro è davvero quello di un'economia di guerra!
E la Bce? Beh devo dire che l'avvento di Draghi ha smosso qualcosa; tuttavia non basta un taglio dei tassi ma è indispensabile che draghi annunci al mercato che la Bce è pronta ad un QE in stile Usa, proponendosi ad acquistare in modo ILLIMITATO il debito dei Paesi in difficoltà.
E ovviamente in un contesto in cui la Banca Centrale gonfia il proprio bilancio con l'acquisto di titoli l'unico re degli investimenti è e rimane il metallo giallo come si vede dal seguente grafico.


Per il momento è tutto; da Radio Londra passo e chiudo.

martedì 1 novembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - La ripartizione del debito in Europa

Diversi Lettori mi hanno chiesto di quantificare la ripartizione del debito tra i vari Paesi dell'area Euro.
Ecco un grafico che può rispondere a questa domanda.

domenica 30 ottobre 2011

sabato 22 ottobre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Il dilemma della recessione

Leggendo quà e là vedo che il dibattito tra sostenitori della recessione imminente delle economie occidentali e sostenitori del soft landing non accenna ad esaurirsi. Lavorando da tanti anni nell'ambito dei mercati finanziari in qualità di portfolio manager non sono stupito nel leggere certe affermazioni nette; mi riferisco ad esempio a quella del capo dell'ECRI che solo alcuni giorni fa ha ribadito che, stando ai dati in possesso del suo istituto di ricerca, la recessione in Usa è praticamente certa. Per quella che è la mia esperienza diretta posso dirvi che nessuno ha la verità in tasca e pertanto nessuno potrà mai affermare con assoluta certezza che una recessione economica sia imminente. Per quello che mi riguarda, personalmente mi baso su dati oggettivi rappresentati dagli indicatori anticipatori e coincident dei cicli economici e dal comportamento intermarket di una molteplicità di variabili di mercato (materie prime, tassi di mercato, pendenze delle curve dei rendimenti, etc.)
In questo post voglio soffermarmi con Voi su alcune importanti considerazioni; vediamole nell'ordine, tanto per cercare di essere il più chiari possibile anche nei confronti di chi (e sono tanti i lettori del blog) mastica poco la materia economico finanziaria.
1) Tanti indicatori anticipatori del ciclo economico ci stanno segnalando la possibilità di un brusco rallentamento delle economie occidentali (Usa e area Euro in primis);
2) Molti indicatori intermarket ritardati (cioè che manifestano un segnale di conferma della negatività in essere dell'economia e dei mercati azionari) stanno fornendo brutti segnali; mi riferisco in particolare al rapporto (forza relativa) tra prezzi del rame e prezzi dell'oro, piuttosto che al recente andamento dell'argento;
3) Gli indicatori macroeconomici coincident che usualmente guardo non hanno ancora fornito il segnale che stiamo entrando in recessione.
Tirando le somme di questa brevissima chiacchierata sono ancora dell'opinione che l'economia Usa è in una fase di rallentamento e di crescita al di sotto del potenziale ma non è in una fase di imminente recessione.
Quali sono le conseguenze per le nostre scelte di investimento?!
Le stesse che ho già ribadito nel post precedente (leggetelo se non lo avete già fatto); se nella settimana entrante dovessero giungere buone notizie riguardanti il salvataggio delle banche europee (attraverso operazioni di ricapitalizzazione del sistema) o riguardo i Paesi più fragili dell'area Euro, potrebbe partire un mini rally che personalmente considero di breve durata (da qualche giorno a qualche settimana). Tutto ciò non muterebbe lo scenario di fondo che si sostiene ancora su basi estremamente fragili a causa, principalmente, del gravoso processo di deleveraging del sistema economico-finanziario che è ben lungi dall'essere terminato.
A breve farò uscire un nuovo numero della Financial Markets LAB Newsletter, tempo permettendo.
Stay tuned

sabato 3 settembre 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Cronache dal fosso di Helm

L’assedio degli orchi ai bastioni del fosso di Helm continua senza sosta; oramai solo l’arrivo di Gandalf potrà salvarci; le forze sono allo stremo e mancano idee per fronteggiare questa grave situazione; anzi, le poche idee sono confuse e vengono cambiate in continuazione creando ancora più confusione nella battaglia per la difesa dei bastioni……


No signori, non è un estratto de “Il Signore degli Anelli” ma è la triste parodia in cui versano le economie occidentali. Usa ed area Euro sono sotto assedio e che qualcuno non mi venga a raccontare che questo è un problema della Grecia o dell’Italia. Sono anni che dalle pagine di questo blog e nelle mie Newsletter denuncio la grave situazione in cui versano tutte le economie che negli ultimi 15 anni hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità inondando il sistema economico-finanziario di carta e, soprattutto, di debito. Ora siamo alla resa dei conti ma il tempo che rimane non è più tanto e, soprattutto, non possiamo più permetterci di usare le solite armi per la difesa del fosso di Helm. Basta con le politiche di Quantitative easing che continuano a gettare liquidità nella mischia alimentando nuove bolle sui prezzi degli asset finanziari. Anche le attese che si erano alimentate per l’incontro di Jeckson Hole le reputo totalmente fuori luogo. Mettiamoci in testa che le Banche Centrali hanno fatto (MALE) quello che dovevano fare e ora tocca alle riforme strutturali che paesi come Stati Uniti o l’Italia devono assolutamente attuare. Ma manca il coraggio perché abbiamo delegato il nostro futuro e quello dei nostri figli ad una classe politica collusa ed incompetente; e se in Italia le cose vanno male non mi dite che in Usa stanno bene; Obama si è rivelato una vera e propria delusione in quanto non è riuscito a mettere a tacere le lobbies di cui è schiavo e non ha attuato le riforme che la gente gli chiedeva. Questa volta le cose appaiono molto più gravi rispetto alla partenza dei bear market sull’azionario nel 2000 e nel 2007 per una semplice ragione: manca la fiducia; in altre parole gli investitori non danno credito alle armi di cui dispone ad esempio la Fed; e come si può dar torto a chi la fiducia non ce l’ha? Guardando agli effetti sulle performance degli asset finanziari delle precedenti politiche di QE (1 e 2) risulta palese come nel QE 2 i benefici sono risultati estremamente limitati rispetto al QE 1. Il corpo malato dell’economia si è assuefatto alla medicina indotta dalle Banche Centrali. E’ come se prendi sempre antibiotici: alla fine il loro effetto benefico si ridurrà. In un contesto di questo tipo il risparmiatore deve giocare in difesa, li arroccato nel fosso di Helm.
Personalmente nel corso di questi anni ho aumentato sensibilmente la quota di "armi non convenzionali" come ad esempio l’oro che consente di cautelarsi da queste fasi di aumento dell’avversione al rischio. Come avevo segnalato nei precendenti post e nella mia Newsletter, dopo la rottura dello S&P500 dell’area 1250, ho cambiato il mio portafoglio finanziario drasticamente riducendo il rischio azionario e, nell’ambito di questo sto privilegiando i temi difensivi (azioni large cap, azioni stile growth, azioni high dividend, azioni italiane sottovalutate); ho inoltre tagliato le mie posizioni sui titoli high yield troppo sensibili ai destini del ciclo economico; anche i titoli di stato in giro per il mondo hanno poca attrattività e così il mio portafoglio è fatto di qualche (pochi) Btp con scadenza a due-tre anni, molte Bei, qualche titolo corporate avente scadenze non troppo lunghe ed appartenenti a settori difensivi, una buona presenza su titoli governativi di paesi emergenti che presentano bilanci decisamente più virtuosi di quelli delle economie occidentali. Infine una buona presenza di liquidità (cash is king!) che in queste fasi volatili mi permette di impostare operazioni di trading veloce su situazioni di eccesso che frequentemente si vengono a creare.

domenica 21 agosto 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

Cari Amici, è appena uscito un nuovo numero della mia Newsletter: si intitola: "Nel fosso di Helm" in onore ad uno dei miei film preferiti: "Il signore degli anelli".
Gli ultimi avvenimenti sui mercati finanziari sono drammatici ed impongono una sana disciplina per l'investitore in termini di scelte; ne parlo in questa Newsletter.
A presto

lunedì 11 luglio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Update sulla mia view di mercato

Gli ultimi segnali provenienti dai mercati finanziari debbono indurre ad un attegiamento di estrema cautela nel momento in cui investiamo i nostri soldi. Ho l'impressione che i problemi che stanno riemergendo non sono solo legati alla crisi europea e all'attacco delle locuste al nostro Belpaese. I dati sull'occupazione Usa hanno parlato chiaro: con questi ritmi di crescita l'economia più importante del mondo non è in grado di creare nuovi posti di lavoro sufficienti per abbassare il tasso di disoccupazione; non solo: l'immane mole del debito Usa continua a pesare sulle prospettive di crescita future. Per il momento l'area che sto monitorando sull'indice S&P500 ha tenuto (1250) ma nel caso di una violazione ribassista con chiusura settimanale di tale livello abbasserò drasticamente le mie posizioni sull'azionario. Raccomando estrema selettività nell'acquisto di azioni europee privilegiando temi difensivi; per il momento sto lontano dal settore finanziario mentre proprio oggi ho iniziato ad acquistare Btp a due/tre anni che offrono un rendimento interessante. L'oro rappresenta ancora una copertura efficace contro eventuali rischi sistemici e risulta essere in assoluto la valuta (si avete capito bene, la valuta e non la materia prima!) più forte. Al momento titoli corporate, high yield e obbligazioni di paesi emergenti non sembrano destare preoccupazioni.
Stay tuned!

domenica 3 luglio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Quando la polvere viene nascosta sotto al tappeto

I Governi Occidentali stanno continuando la battaglia di riduzione dei debiti accumulati e causati da modelli di crescita economica non sostenibili; Le autorità europee stanno delineando piani di salvataggio della Grecia. Così come quando si fanno le pulizie in casa, si sta cercando di sbarazzarsi della polvere accumulatasi un po’ dappertutto. L’impressione che ne sto ricavando, tuttavia, non è positiva e l’ultimo esempio giunge dalla manovra economica che il Governo italiano vuole varare; non voglio addentrarmi nei dettagli della manovra da 40 miliardi architettata da Tremonti; dico solo che i problemi si stanno nascondendo, un po’ come si nasconde la polvere sotto al tappeto per evitare la fatica di doverla rimuovere e la stessa cosa si sta facendo in Usa (pensate che entro i primi di agosto devono innalzare il tetto massimo del debito consentito!) o nei tentativi di salvataggio della Grecia. Il problema fondamentale, tuttavia, risiede non tanto nella mancanza di volontà da parte dei Governi o delle Autorità economiche, quanto della mancanza di una sufficiente crescita economica da cui attingere risorse per permettere di assestare una decisa sforbiciata ai debiti pubblici.

Come investitore, il mio scenario centrale rimane sempre quello del Bear Market Secolare: una lunga fase economica caratterizzata da crescita al di sotto del potenziale, shock esterni (il caso Grecia è solo l’ultimo) e alta volatilità degli investimenti a rischio (azioni e materie prime in primis).
Tuttavia, nel breve termine, come vi avevo segnalato, sono compratore delle debolezze sia delle piazze azionarie che delle materie prime perché ritengo che il Bull Market Ciclico non sia terminato proprio grazie al fatto che le autorità sono maestre nel "nascondere la polvere" proprio come piace ai miopi mercati finanziari.
Tanti indicatori che abitualmente tengo monitorati sono in forte eccesso già da alcune settimane; cito, ad esempio, il rapporto tra azioni e obbligazioni e gli economic surprise index calcolati da Citigroup.
Inoltre, nel momento in cui scrivo i livelli di supporto sullo S&P500 (area 1250) hanno retto egregiamente e diversi indicatori di ampiezza del mercato mi stanno segnalando un lento ritorno dell’avversione al rischio da parte degli investitori. Probabilmente, nel breve termine, nascondere la polvere sotto al tappeto abbellisce la casa, almeno sino a quando qualcuno non ci inciampa, scoprendo cosa nasconde sotto…

domenica 26 giugno 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Il rischio di investire in ETF

L’uscita di un importante documento del Financial Stability Board intitolato:” Potential financial stability issues arising from recent trends in Exchange-Traded Funds (ETFs)” mi da l’occasione per parlare ancora di disinformazione finanziaria. A farla, è sempre lui: Beppe Scienza.


In un suo libro intitolato “Il risparmio tradito” ha pontificato riguardo la bontà degli Etf quale strumento a disposizione dei risparmiatori da sostituire ai fondi comuni, a suo parere, fonte di inefficienze e di scarsa trasparenza. Ecco quello che Scienza scriveva nel capitolo 21 intitolato “Come salvarsi?” a proposito degli Etf:

“Un fondo comune può facilmente copiare un mercato azionario, applicare commissioni bassissime ed essere comunque redditizio per la società di gestione. Ma le bauche italiane si sono sempre guardate bene da istituire fondi simili, che avrebbero ridotto gli enormi guadagni che lucrano a danno dei risparmiatori.
Anzi, la parola "indice" nella denominazione di alcuni fondi azionari italiani è una bella etichetta che non garantisce un andamento in sintonia col mercato. Vedi per es. Cisalpino Indice e Padano Indice Italia: nel
2000 hanno reso il 3,2% e il -2,7% a fronte del 6,2% netto della Borsa italiana. Il risparmio gestito italiano è proprio la fiera degli equivoci. Invece in America esistono per es. dal 1993 le Standard & Poor's Depositary Receipts, simbolo SPY, che replicano il suddetto indice S&P500. Si tratta di uno dei tanti Exchange Traded Fund (Etf), ovvero "fondi trattati in Borsa", detti così perché scambiati come azioni 4. Per puntare sulle azioni tali strumenti sono la quadratura del cerchio, in quanto:

• garantiscono risultati allineati, nel bene e nel male, a quelli del rispettivo indice di Borsa;

• hanno costi normalmente modesti, nell'ordine dello 0,15-0,50% l'anno;

• non si pagano gabelle per l'ingresso o l'uscita, ma solo commissioni analoghe a quelle per la compravendita di azioni:

• sono acquistabili anche per importi bassissimi.

Sino a pochi anni fa un risparmiatore italiano doveva ricorrere a Etf esteri, spesso con complicazioni e maggiori oneri fiscali. Ciò non toglie che chi ha comprato le SPY s'è avvantaggiato in pieno della salita delle borse e della valuta americane, a differenza dei poveretti cui sono stati sbolognati fondi italiani specializzati sull'America con minus di gestione nell' ordine del 7% annuo (vedi p. 65). Non stupisce quindi che la stampa estera li consigli spesso: vedi per es. il solito Der Spiegel che ne elenca i vantaggi (n. 16, 17-4-2000 p. 83). Invece quella italiana, pur così infatuata dell'investimento in azioni americane, per anni non ne ha mai parlato: il solito Sole 24 Ore non li cita neppure elencando "le diverse strade che si aprono per chi decide di entrare nel mercato americano" e propone invece fondi comuni (23-7-2000 p. 15). Ma per fortuna dal 30-9-2002 diversi Eft di società straniere sono facilmente accessibili anche agli investitori italiani, perché ufficialmente quotati. Comprando e tenendo in portafoglio Etf azionari di regola si otterrà più che coi fondi comuni venduti dalle banche e dai promotori finanziari, i quali e le quali cercheranno quindi in ogni modo di dissuaderne l'acquisto.”

Peccato che l’Azzeccagarbugli di Torino, come sempre, fornisca la verità che a lui fa più comodo; con il solo obiettivo di gettare fango sull’industria del risparmio gestito, Scienza fa brillare il mondo degli Etf senza evidenziarne i reali rischi. Cari risparmiatori, sembra voler dire il professore di Torino, comprate etf e dormirete sonni tranquilli!

Ma è proprio così? Ecco alcuni passi del documento del Financial Stability Board:

” While ETFs bring a number of benefits to investors and market participants, including cost efficiency diversification and easier access to specific asset classes or risk exposures, they may also generate new types of risks, linked to the complexity and relative opacity of the newest breed of ETFs.”

Ed ecco un esempio di struttura sottostante ad un Etf quotato nella Borsa di Milano:



Come si vede, dietro moltissimi Etf c’è una struttura di scambio di flussi finanziari molto più opaca di un portafoglio di un qualsiasi fondo comune di investimento e, pur essendo prodotti passivi, non sono assolutamente esenti da rischi. Come segnala il bravo Armando Carcaterra di Anima SGR:

“Mentre i vecchi ETF replicavano l'indice di riferimento investendo direttamente nei titoli sottostanti, gli ETF "sintetici" investono invece in derivati legati agli indici di mercato. Questa modalità ha consentito di estendere lo strumento ETF anche a mercati prima inaccessibili come le materie prime. Sono nati così altri strumenti di investimento come gli ETC Exchange Traded Commodities, cioè strumenti che investono in materie prime.
Questo acronimo però non segnala solo che l'ETC investe in materie prime, segnala anche che esso, al contrario degli altri ETF che investono sui mercati finanziari, non è un fondo comune, ma una specie di titolo indicizzato emesso direttamente dalla banca d'affari. L'ETC è nato perché la normativa sugli OICR non consente di investire in materie prime ed in più impone che i fondi comuni diversifichino il rischio. Gli ETC, invece possono utilizzare derivati a proprio piacimento e sottrarsi a qualunque vincolo di diversificazione dei rischi, legandosi solo all'oro, solo all'argento, al rame e così via.”

E ancora:

“L'ETC investe esclusivamente in derivati: il suo valore è legato all'andamento del mercato di riferimento, ma i suoi guadagni e perdite vengono contabilizzati sulla base di contratti stipulati con una controparte (cioè una banca d'affari), non a fronte di un portafoglio "fisico" di materie prime. Se la controparte è insolvente o non onora il contratto, il valore dell'ETC evapora perché non possiede alcun sottostante da vendere. Di questo tipo di rischio, che viene denominato "rischio di controparte" il risparmiatore di solito non è però affatto consapevole. Il risparmiatore non è neppure consapevole di essere legato a filo doppio alla solvibilità di un'unica banca d'affari, quella che ha emesso l'ETC. In epoca di bolle -si sa- le tentazioni sono forti. Ed anche i danni che esse fanno.”
Un altro aspetto di cui nessuno parla mai, poi, è quello legato al grado di liquidità degli Etf su cui si è deciso di investire perchè esiste la possibilità che l’emittente li liquidi da un momento all’altro a suo piacimento. Questa eventualità può accadere quando un Etf è poco liquido, cioè quando non riscuote l’interesse del mercato. Con “poco liquido” si fa riferimento al numero di compratori e venditori che caratterizzano il mercato dell’Etf per diversi livelli di prezzo.
Infine, voglio evidenziare che non è solo il Financial Stability Board a lanciare l’allarme come si vede dall’articolo di cui allego il link:

http://blogs.wsj.com/marketbeat/2011/04/21/etfs-a-threat-to-financial-stability/

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

In questo numero Vi parlo di reddito pro capite e di un grande economista bulgaro: Ilian Mihov.
Stay tuned!

domenica 12 giugno 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Ecco perchè siamo in un Bear Market Secolare

Diversi amici lettori del blog rimangono disorientati quando nei miei post o nella Financial Markets LAB Newsletter parlo di Bear Market Secolare o di Bull Market Ciclici. Proviamo allora ad usare un grafico per far comprendere meglio ai lettori cosa intendo. A questo proposito vi ho allegato un chart che mostra i corsi dello S&P500 depurati dall'effetto inflazione. Guardate cosa è successo dal 2000 ad oggi. L'indice Usa ha fatto un massimo a 1527.46 nel 2000 poi è sceso a 800.58 nel 2002; quindi ha fatto un massimo (ma inferiore a quello del 2000!) a 1561.80 nel 2007 per poi scendere nuovamente a 683.38 (nuovo minimo più basso di quello del 2002!) nel 2009. Da li è ripartito il rialzo sino ai livelli dei nostri giorni. Ebbene, l'indice S&P500 dal 2000 ad oggi continua a segnare massimi decrescenti e minimi decrescenti (individuati dal canale ribassista in rosso): questa è la rappresentazione grafica del Bear Market Secolare. Nell'ambito di questa fase i periodi 2002-2007 e 2009-2011 rappresentano i Bull market Ciclici.


venerdì 10 giugno 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - The same old story

Sui mercati finanziari si sta ripetendo per l'ennesima volta un film già visto: le banche centrali inondano di liquidità il sistema stampando moneta in modo indiscriminato e con l'illusione di dare un contributo alla crescita economica; il denaro invece che confluire verso il sistema produttivo si riversa sugli strumenti finanziari che più appagano l'appetito per il rischio e la fame speculativa degli investitori; i prezzi delle attività finanziarie vanno verso livelli stellari che non trovano un riscontro nei valori reali; sale tutto: azioni, materie prime, titoli corporate, obbligazioni dei mercati emergenti; improvvisamente le banche centrali tolgono il sostegno della liquidità perchè si rendono conto di avere esagerato; gli operatori cominciano a delineare scenari di aumento del costo del denaro e prendono coscienza degli eccessi sui prezzi delle attività finanziarie; la bolla scoppia e il cosidetto "parco buoi" rimane con il cerino in mano. Questa in estrema sintesi è anche la storia del bull market ciclico che stiamo vivendo da marzo 2009. The same old story.
Il rimbalzo partito poco più di due anni fa allora è finito? Non credo, ma i livelli che avevano raggiunto gli indici azionari alcune settimane fa avrebbero dovuto indurci ad una maggiore cautela (come peraltro avevo segnalato qui sul blog e nella mia Newsletter). E ora cosa attendersi? E' la domanda che tutti voi mi state ponendo nelle mail che mi inoltrate. Beh sicuramente il contesto è estremamente fragile ed incerto: la ripresa economica stenta, il mercato del lavoro nei paesi occidentali è asfittico, il mercato immobiliare Usa è in crisi perenne, il polmone Cinese mostra qualche segnale di affanno e gli indicatori anticipatori del ciclo economico ci stanno segnalando una battuta di arresto. Ad aggravare la situazione ci si mette pure la Fed che stacca la spina con la fine del QE2. Cosa dire poi del livello di indebitamento raggiunto dagli investitori; guardate il Nyse Margin Debt (thanks to DS Short) che sta mostrando segnali di cedimento e soprattutto guardate che stretta correlazione c'è con l'andamento dei mercati azionari (il confronto è proprio con la borsa Usa). Mi chiedo: cosa succederà se la Fed (come effettivamente sembra voglia fare) deciderà di non continuare a fornire liquidità al sistema? Beh mi aspetto un crollo del Nyse margin debt in concomitanza con una discesa ulteriore dei corsi azionari.


E la Bce? Beh la scellerata banca centrale europea ha fatto intendere chiaramente nel suo ultimo statement che a luglio i tassi ufficiali verranno ritoccati al rialzo.
Dunque le banche centrali fanno (costruiscono bolle) e disfanno (danno il loro contributo a farle esplodere) e tra il fare ed il disfare non c'è nulla (o quasi) che vada nella direzione di favorire una crescita economica sana.
Riepilogando:
1) la droga della liquidità sta venendo meno e tra un po' il paziente si risveglierà pieno di dolori e acciacchi;
2) in area 1250-1260 l'indice S&P500 dovrebbe trovare un supporto tecnico importante che potrebbe arginare momentaneamente la correzione in atto;
3) le possibilità per un nuovo guizzo rialzista delle borse sono legate a filo doppio ai segnali provenienti dagli indicatori anticipatori del ciclo: un nuovo allungo di questi ultimi ci segnalerebbe che nonostante tutti i problemi il bull market ciclico avrebbe ancora qualche mese di vita e questa rimane l'ipotesi che, nonostante tutto, mi convince di più. Proprio per questo in zona 1250/1260 imposterò acquisti tattici protetti da un rigido stop loss.
Stay tuned...

sabato 28 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

In questo numero mi soffermo sull'importante variabile previsiva che riguarda il ciclo dei profitti e aggiorno la mia view sui mercati azionari.
Vi ricordo che per poter ricevere la mia Newsletter dovete richiedermela al seguente indirizzo, mandandomi il vostro nome e cognome:

finmklab@yahoo.it

mercoledì 25 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - La disinformazione colpisce ancora!

Oramai lo leggo per sorridere anche se è più forte di me; non ce la faccio a non arrabbiarmi quando leggo gli articoli che Beppe Scienza pubblica sul suo blog tra le pagine de "Il fatto quotidiano". Nell'ultimo post il "professore" di Torino giunge all'illuminata conclusione che investire in azioni non offre una protezione contro l'inflazione e cita i soliti dati di Mediobanca e le inesattezze che, a suo parere, compaiono sulla stampa specializzata, quando affronta questo tema.
L'uomo della strada leggendo articoli simili non fa che allontanarsi da possibili alternative di investimento (come le azioni) che potrebbero diversificare egregiamente il rischio del proprio portafoglio, aumentando il relativo profilo rischio-rendimento. All'articolo di Scienza ho risposto in modo secco e duro nei suoi confronti (se lo merita!) e qui proverò a spiegare perchè. Ho preso in considerazione, in un banalissimo esercizio, il mercato azionario italiano analizzando l'evoluzione dell'indice Comit (che rappresenta l'andamento delle azioni italiane) con un indice dei prezzi al consumo al netto della componente volatile (tabacco). Partiamo esaminando un arco temporale ampio (dal 1973 ad oggi):


Effettivamente il grafico sembra dare ragione proprio alle affermazioni di Scienza: dal 1973 ad oggi le azioni (comprensive dei dividendi distribuiti) sono salite meno dell'inflazione.
Ma questa conclusione è davvero superficiale in quanto non tiene conto dei cicli economici che si sono succeduti in quasi 40 anni di tempo! E' come se un marinaio si ostinasse a navigare in qualsiasi condizione atmosferica invece di approdare in porti sicuri quando ci sono i maremoti e trornare a prendere il largo quando il mare è calmo!
Guardiamo il periodo 1982 - 1999:


Come si può vedere quando le borse si trovano in quello che in gergo tecnico si chiama Bull market secolare (cioè una prolungata fase rialzista dei corsi sostenuta da un contesto macroeconomico di crescita) le azioni stracciano alla grande l'inflazione!
Guardiamo ora il periodo 1999 - 2011, cioè la fase che stiamo vivendo da quando è scoppiata la bolla tecnologica sui listini azionari e le economie occidentali sono entrate in una profonda crisi economica (di cui sentiamo ancora gli strascichi) e da quando è partito il cosidetto Bear market secolare sulle azioni (cioè una prolungata fase ribassista dell'equity causata da un contesto macroeconomico avverso)


Effettivamente le azioni non stanno riuscendo ad offrire rendimenti eclatanti.
Analizziamo infine il periodo 1980 - 2011 nell'ultimo grafico che vi propongo:


Come si vede dal 1980 ad oggi le azioni fanno meglio dell'inflazione.
Allora quali conclusioni possiamo trarre? Quelle dell'"Azzeccagarbugli" che sostengono che investire sull'azionario è come puntare alla roulette?
Oppure in modo razionale possiamo sostenere che queste lunghe fasi alterne di andamenti positivi e negativi dell'azionario sono ragionevolmente prevedibili e, scalettando degli acquisti oculati sulle azioni nei periodi maggiormente avversi possiamo sperare di beneficiare successivamente della fase positiva del mondo azionario?
Lascio a voi la risposta...la mia la potete intuire....

lunedì 16 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Ancora una volta l'ECRI segnala cautela!

Ancora una volta questo importante indice sembra volerci segnalare cautela; guardate il chart: l'indice pare non avere la forza per spingersi oltre la resistenza dinamica che ho tracciato sul grafico; un eventuale ripiegamente di questo indice ci segnalerebbe l'avvio di una fase debole per l'economia, con conseguenze non esalktanti per i temi di investimento rischiosi. Personalmente sto riducendo l'esposizione al rischio dei miei portafogli capitalizzando una parte degli utili sulle scommesse che da inizio anno stanno andando meglio (obbligazioni emergenti in valuta locale e high yield).

lunedì 9 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Il bue dice: "cornuto!" all'asino

In modo del tutto causale, alcune settimane, fa mi sono imbattuto nel blog finanziario di un certo Beppe Scienza. Dal blog sono andato a finire sul sito (www.beppescienza.it) scoprendo che lo scrittore è anche un professore universitario (fa parte del dipartimento di matematica dell’università di Torino). Leggendo gli scritti, sia sul blog che i documenti che mette a disposizione sul suo sito, si rimane colpiti dalla foga con la quale questa persona attacca brutalmente il mondo, i prodotti e le persone che lavorano nel mondo del risparmio gestito. Mi sono sentito chiamato in causa in prima persona, visti i miei trascorsi in questo settore e sono intervenuto in diverse occasioni sul suo blog facendogli notare le inesattezze e la superficialità con la quale giungeva a certe conclusioni sbrigative sulla previdenza complementare e sulla bontà dei fondi pensione. Non l’avessi mai fatto! L’emerito professore mi si è scagliato contro ingiuriandomi e dandomi addirittura del vigliacco perché mi nascondo dietro uno pseudonimo. Ebbene, questo mi ha stimolato a leggere altri lavori pubblicati da questo personaggio; la conclusione riguardo la qualità degli studi fatta da questo professore di matematica prestato al mondo dei mercati finanziari rimane sempre la stessa: questo personaggio è un vero e proprio Azzeccagarbugli che si permette di criticare la qualità dell’informazione finanziaria dei nostri mass media senza rendersi conto che anche lui (come molti dei giornalisti finanziari italiani) fa DISINFORMAZIONE inondando la rete di bugie riguardo la previdenza complementare e, soprattutto, il mondo del risparmio gestito. E' proprio come quando il bue dice:"cornuto!" al povero asino. La cosa grave poi è che con il suo agire fa cadere in errore la gente che lo legge che, invece di cercare prodotti di risparmio gestito efficienti, compie l’errore di “fare da se” alimentando in questo modo i ben noti “casi” Parmalat, Ciro, Lehman Brothers, Argentina, etc. Peccato, perché alcuni degli argomenti toccati da Scienza (tra cui la scarsa preparazione dei giornalisti finanziari, l’inefficienza e la scarsa trasparenza di molti prodotti finanziari proposti ai piccoli risparmiatori) li condivido al 100%; quello che mi da veramente fastidio sono le generalizzazioni e le analisi, estremamente parziali e comunque non esaustive, che portano Scienza a fare conclusioni assolutamente false e disguidanti per l’investitore; così se in piccola parte posso giustificare la scarsa preparazione di un giornalista (che alla fine non è un tecnico) non posso ammettere l’incompetenza di chi, come Scienza, parla da dietro una cattedra universitaria. Per questo, ho deciso di dedicare una rubrica del mio blog, che ho intitolato “L’angolo dell’Azzeccagarbugli” e dedicare proprio il primo post a lui: Beppe Scienza.
Dal Capitolo 10 del libro “Il risparmio tradito” intitolato “Sotto tutela” e dal paragrafo intitolato:”gestioni patrimoniali opache”:

“Per giunta non ci sono solo i fondi comuni, ma anche le gestioni patrimoniali. E in effetti avremmo voluto estendere i confronti del Cap. 7 alle gestioni cosiddette individuali, ma la totale opacità di tali rapporti è un ostacolo insormontabile a tale fine. Ecco invece cosa scrive il Sole 24 Ore: • le gestioni di patrimoni tramite fondi sono "un servizio più trasparente perché si può controllare tutti i giorni sul giornale quale sia il valore delle quote dei propri fondi" (31-3-1996 p. 18). Invece non è così, perché il cliente non sa quante quote possiede dei singoli fondi e quindi non può affatto seguire quotidianamente il suo investimento.”

FALSO!

Ma Beppe Scienza sa che nell’estratto conto inviato al cliente sono elencate per filo e per segno le operazioni svolte dal gestore e c’è l’elenco dei prodotti detenuti con il relativo ammontare, prezzo e valorizzazione?! Evidentemente no!

Ecco quello che dice testualmente la Banca d’Italia:

“La gestione su base individuale di portafogli di investimento è un servizio di investimento che può essere svolto da una banca, una SGR, una società di intermediazione mobiliare (SIM) o un’impresa di investimento estera autorizzata (intermediario gestore).
L’investitore conferisce il proprio patrimonio all’intermediario, delegandolo ad effettuare decisioni di investimento mediante operazioni di acquisto e vendita di azioni, obbligazioni, quote di OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio) o altri strumenti finanziari.
A differenza dei fondi comuni e delle SICAV, il patrimonio di ogni singolo cliente non confluisce in un patrimonio collettivo e la gestione del portafoglio viene effettuata separatamente per ogni cliente. Il patrimonio dell’investitore è separato a tutti gli effetti da quello degli altri clienti del gestore e da quello del gestore medesimo; non può, in particolare, essere utilizzato in nessun caso a favore dei creditori dell’intermediario che cura l’investimento.
Le decisioni di investimento sono assunte discrezionalmente dal gestore, sulla base di obiettivi e all’interno di limiti (ad esempio: una percentuale massima del patrimonio investito in azioni) definiti nel contratto con il cliente. I risultati positivi o negativi degli investimenti effettuati dal gestore ricadono direttamente sul patrimonio dell’investitore. Tale patrimonio, al termine del mandato conferito all’intermediario, può essere di valore inferiore a quello originariamente investito. L’intermediario ha l’obbligo di informare periodicamente il cliente del rendimento ottenuto e degli strumenti finanziari inclusi nella gestione patrimoniale.Le principali tipologie di gestioni patrimoniali sono la Gestione Patrimoniale Mobiliare (GPM), in cui il patrimonio viene investito principalmente in azioni, obbligazioni e strumenti finanziari derivati e la Gestione Patrimoniale in Fondi (GPF), dove il patrimonio è investito prevalentemente in quote di fondi comuni di investimento e di SICAV.”

Avete letto?! L’intermediario ha l’obbligo di informare periodicamente il cliente del rendimento ottenuto e degli strumenti finanziari inclusi nella gestione patrimoniale!
E questo è solo l’inizio! Rimanete sintonizzati sulle pagine del blog perché nelle prossime settimane parleremo di altre sciocchezze e bugie scritte da Beppe “Azzeccagarbugli” Scienza e da altri suoi simili.

domenica 1 maggio 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter: the cube

Cari Amici, è in uscita il nuovo numero della mia Newsletter; questa volta voglio ricordare a tutti alcune delle sfaccettature dello scenario economico-finanziario in cui ci muoviamo per prendere decisioni di investimento. Ho intitolato questo numero THE CUBE (ricordate il mitico film del 1997 diretto da Vincenzo Natali?) perchè, come investitore, continuo a sentirmi imprigionato in un ambiente irto di pericoli e faccio fatica a capire come i governi e le istituzioni finanziarie riusciranno ad uscire da questa sorta di prigione. Alcune delle sbarre che costituiscono questa galera sono fatte dall'enorme debito accumulato dagli stati occidentali. A proposito, guardate nel grafico seguente dove siamo arrivati in area Euro: il debito ammonta mediamente al 200% del Pil prodotto! Stay tuned

sabato 9 aprile 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Precisazione

Gli aficionados (i miei lettori più affezionati e più rompip....) mi fanno notare che i guru di cui avrei dovuto parlare nella Newsletter dovevano essere tre e non due. Bravi! Volevo vedere se eravate attenti! Del terzo Guru vi racconterò a breve qui, sulle pagine del bloggg.
Stay tuned!

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Piccolo spazio...pubblicità!

Sfrutto le parole di una vecchia canzone di Vasco Rossi per intitolare questo brevissimo post in cui voglio parlarvi di un blog amico; si tratta di FINANZA MONITOR (www.finanzamonitor.blogspot.com).
Questo blog è di un vecchio leone della savana dei mercati finanziari che da sempre dedica parte del proprio tempo alla divulgazione della cultura finanziaria. FINANZA MONITOR offre corsi aventi per oggetto tematiche legate al mondo dei mercati finanziari e dell'economia; uno dei servizi offerti è la possibilità di personalizzare i contenuti dei corsi e di farli al proprio domicilio!
FINANZA MONITOR poi, offre anche un servizio di reportistica finanziaria rivolto sia al risparmiatore privato che a quello istituzionale attraverso l'inoltro di report specifici sui diversi mercati e strumenti finanziari. Non mi resta che consigliarvi di visitare il blog e, se avete bisogno di formazione in ambito economico-finanziario, iscrivervi ai corsi organizzati da questo bravo professionista o sottoscrivere i suoi report.

sabato 2 aprile 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Financial Markets LAB Newsletter

Dopo aver passato diversi giorni in giro per l'Europa sto provando a sintetizzare alcune delle cose che mi hanno detto tre guru del mondo dell'economia e dei mercati finanziari. Chi sono?! Beh, scopritelo leggendo il prossimo numero della mia Newsletter in imminente uscita. Posso solo anticiparvi che si tratta di tre veri personaggi del mondo economico-finanziario.
Stay tuned!

domenica 20 marzo 2011

DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Risorse energetiche, democrazia e crescita economica

La tragedia giapponese e l’instabilità dei paesi nord africani riaprono prepotentemente il dibattito sulla scelta delle fonti di energia che deve fare un paese. Come tutti sappiamo, a giugno in Italia ci sarà un referendum che ci farà scegliere o rifiutare l’energia nucleare. Già nel 1987 gli italiani avevano detto NO AL NUCLEARE. In modo obsoleto l’attuale classe politica, senza un vero piano energetico per il paese, vuole tentare nuovamente di propinare gli oligarchi dell’energia nucleare (non bastavano quelli delle energie fossili!) agli italiani.
Dal mio punto di vista, chi detiene l’energia gestisce il potere sui popoli e, pertanto, un paese democratico, per potersi fregiare appieno di questa caratteristica dovrebbe, mettere a disposizione della propria gente l’energia necessaria alla quotidianità e alla vita. Naturalmente, uno stato civile dovrebbe rendere disponibile le fonti energetiche ad un costo accessibile a chiunque senza creare nessun tipo di barriera legata al ceto sociale o alla disponibilità economica. Purtroppo questo non è mai stato possibile perché gli stati stessi in giro per il mondo sono, a loro volta, alle dipendenze di altri stati che possiedono, più di altri, le risorse energetiche comunemente usate (fossili e nucleare); queste ultime pertanto, che dovrebbero essere considerate patrimonio dell’umanità (come l’acqua che beviamo o l’aria che respiriamo) diventano leve da sfruttare per esercitare il proprio potere per arricchirsi e per speculare; al primo posto, come spesso accade in ambito economico, si pone l’avidità a detrimento della democrazia e dell’eguaglianza. Gordon Gekko nel primo Wall Street diceva:”l’avidità è giusta!”
Probabilmente, la speculazione svolge una sua utilità per i mercati finanziari ed è uno degli ingredienti (da usare con moderazione nella ricetta!) del libero mercato; tuttavia, ritengo ci siano ambiti attinenti ai bisogni essenziali dell’uomo in cui l’avidità deve essere tenuta sotto controllo da appositi organismi e da un’attenta regolamentazione; ed è proprio quello che, ad esempio, non è avvenuto nell’ultima crisi dei mutui subprime statunitensi.
Ma torniamo alle fonti energetiche; il mondo, come ci rendiamo conto nella vita quotidiana, è in mano alle oligarchie delle energie fossili e del nucleare; bisogna in parte riconoscere che senza l’energia di origine fossile (petrolio, carbone e gas naturale) l’uomo moderno non potrebbe vivere; allo stato attuale oro nero, carbone e gas naturale rappresentano circa l’80% dei consumi in giro per il mondo. Tra le fonti di energia alternative solamente le biomasse (legno, rifiuti, residui vegetali, etc.) si sono ricavate un ruolo importante (stando ai dati in mio possesso che però risalgono al 2004, rappresentavano circa il 10% del consumo totale di energia). L’energia nucleare rappresenta circa il 6.5% (dati del 2004 dell’IEA). Sole e vento svolgono ancora un ruolo del tutto marginale, nonostante i mass media continuino a decantarne le lodi e ad accusare i governi riguardo la trascuratezza che nutrono nei confronti di queste due fonti di energia. La domanda è: PERCHE’ I GOVERNI MONDIALI NON CREDONO NELLE ENERGIE RINNOVABILI?! Una possibile risposta è: perché le fonti fossili di energia sono insuperabili in termini di densità di energia e densità di potenza, cioè sono in grado di fornirci enormi quantitativi di energia da concentrazioni ridotte di spazio e materia prima.
PERO’ QUESTA SITUAZIONE E’ ANCHE COLPA DEI GOVERNI perché non destinano un quantitativo sufficiente di fondi indispensabili per una ricerca scientifica che sia volta proprio ad aumentare l’efficienza, la flessibilità e la facilità di utilizzo delle fonti energetiche alternative; negli ultimi decenni tutti i paesi industrializzati hanno destinato più dell’80% dei fondi pubblici alla ricerca sull’energia nucleare, trascurando completamente le altre fonti alternative; e pensare che, stando a studi effettuati, in Italia se tutti i tetti delle case avessero pannelli solari, riusciremmo a coprire circa il 45% del fabbisogno energetico nazionale!! Senza poi contare che le energie alternative hanno spazi di miglioramento della loro efficienza, proprio in termini di densità di energia e potenza.
Gli Usa, la più grande potenza economica mondiale, sono un pessimo esempio se si guardano i dati dell’ U.S. Energy Information Administration; nel 1980 i consumi energetici americani erano così ripartiti:

Petrolio 43.8%
Natural gas 25.9%
Carbone 19.7%
Nucleare 3.5%
Bio carburanti 0%
Energie rinnovabili 7%

Nel 2009 la situazione era la seguente:

Petrolio 37.3%
Natural gas 24.7%
Carbone 20.9%
Nucleare 8.8%
Bio carburanti 1%
Energie rinnovabili 7.2%

Da questi numeri emerge che gli Usa hanno ridotto i consumi di petrolio (dal 43.8% al 37.3%) ma a favore quasi totalmente dell’energia nucleare (dal 3.5% all’8.8%).
Torniamo ora al binomio energia-democrazia. Al di là degli aspetti tecnici o di convenienza economica ed ambientale, la scelta tra energie alternative o energia nucleare è cruciale dal punto di vista socio-economico. C'è dettaglio determinante: il sole, ad esempio, è un bene a disposizione di chiunque (proprio come l’aria) mentre l’uranio no; tutti potrebbero trasformare l’energia solare in elettricità con un pannello fotovoltaico mentre per trasformare l’energia nucleare in elettricità occorre una centrale. Questa considerazione è importante per capire perchè il nucleare sta tornando in voga, e si cerchi di farlo passare come succedaneo del petrolio. In realtà, il nucleare serve per non cambiare le cose e mantenere le rendite di posizione; è un sistema per continuare a mantenere i cittadini e i popoli nelle mani di pochi, cioè di chi detiene la fonte di energia e di chi la distribuisce. Esattamente come è per le vetuste energie fossili.
Inoltre se l’energia fosse basata sull’uranio, sarebbero ancora concepibili guerre per le fonti energetiche (come ancora avviene per il petrolio), mentre se l’energia fosse basata sul sole o il vento, le guerre non avrebbero senso perchè non avrebbe senso fare una guerra per accaparrarsi il sole! In pratica, le energie alternative sono DEMOCRAZIA, le energie fossili e l’energia nucleare sono OLIGARCHIA.
Tra l’altro, non bisogna farsi ingannare da chi parla di centrali solari o “parchi eolici”, perchè sono un meccanismo subdolo per mantenere ancora in piedi le rendite di posizione; questo perchè una centrale solare manterrebbe ancora i cittadini nello stato di dipendenza da altri, da chi trasforma l’energia. Allora, non basta lottare per le energie rinnovabili come sole e vento, occorre anche battersi per il decentramento energetico, perchè ogni cittadino possa produrre “con le proprie mani” l’energia che vuole.
Il problema è, allora, quello di delineare un nuovo modello energetico che soppianti quello prevalente, ancora incentrato sulla produzione centralizzata di energia.
Il panorama energetico globale vede la presenza di un numero limitato di industrie che concentrano (sistema centralizzato e oligarchico) la produzione elettrica in megacentrali a combustibili fossili e nucleari. L'elettricità prodotta viene immessa in grandi "scheletri" ad alta tensione, da cui si dipartono le reti che arrivano fino alle nostre abitazioni. Ovviamente questa complessa e costosa infrastruttura, incide in maniera significativa sul prezzo finale dell’energia e presenta una certa rigidità; questo perchè il flusso di elettricità viaggia in maniera unidirezionale, dal luogo di produzione a quello di consumo. In questo contesto, l’utente finale che utilizza energia riveste il ruolo passivo di semplice “consumatore” di energia.
Nel passato, la necessità di distribuire l’energia elettrica a milioni di persone, poteva giustificare la creazione di monopoli energetici. In Italia, ad esempio, il processo di nazionalizzazione dell’Enel, avvenuto negli anni sessanta, rispondeva proprio a questo tipo di esigenze: bisognava accentrare i capitali e le risorse in un’unica grande azienda pubblica per portare l’energia elettrica in tutto il Paese. Tuttavia, a partire dal 1992 è stato avviato un percorso di liberalizzazioni, che ha portato a un superamento del monopolio statale dell’energia elettrica, in favore di un regime (tuttora imperfetto) di concorrenza tra aziende energetiche, che ha offerto anche al singolo cittadino la possibilità di diventare un produttore di energia. In secondo luogo, il processo di elettrificazione del Paese è pienamente concluso; pertanto oggi bisogna arrivare ad un graduale smantellamento delle centrali e ripensare le modalità di produzione e consumo dell'energia.
La soluzione secondo gli esperti si chiama: generazione distribuita; questa rappresenta una diversa modalità di pensare e gestire la rete elettrica, basata non solo su grandi centrali collegate a reti estese di tralicci, bensì su unità produttive (campi eolici, fotovoltaici, centrali a biomasse, cogeneratori) di piccole-medie dimensioni, distribuite omogeneamente sul territorio e collegate direttamente alle utenze o comunque a reti a basso voltaggio.
Uno dei maggiori vantaggi della generazione distribuita consiste nella minore lunghezza delle reti di distribuzione e trasmissione dell’elettricità. Le lunghe reti ad alta tensione: a) perdono per strada circa il 7% dell’elettricità trasportata; b) comportano ingenti costi di costruzione e manutenzione (che paghiamo in bolletta); c) sono a costante rischio di black-out. La generazione distribuita, invece, è al riparo da questi rischi, perché: a) avvicina la centrale elettrica, o meglio più centrali elettriche interconnesse, al luogo di utilizzo finale dell’energia; b) aumenta l’affidabilità della rete, poiché il fermo di un impianto non comporta l’interruzione della fornitura, ma viene compensato dalla presenza delle altre centrali. La rete elettrica deve trasformarsi gradualmente da rete "passiva", in cui l'elettricità semplicemente scorre dal luogo di produzione a quello di consumo, a rete "attiva" e "intelligente" (smart grid), capace di gestire e regolare più flussi elettrici che viaggiano in maniera discontinua e bidirezionale. E’ difficile immaginare, all’interno dell’attuale contesto centralizzato, la possibilità di un accesso "democratico" alle risorse energetiche da parte dei singoli individui e delle comunità locali. Ma nella prospettiva di un graduale decentramento della produzione energetica nelle mani di milioni o miliardi di piccoli produttori, viene meno il ruolo e la stessa ragion d’essere dei grandi gruppi energetici, che con le loro lunghe catene di approvvigionamento delle risorse rappresentano il principale elemento di rigidità e di conflitti all'interno dell’economia globalizzata. La scelta di “regionalizzare” l’economia energetica, oltre ad assicurare uno sviluppo locale davvero sostenibile, favorisce una progressiva autonomia politica dai paesi produttori.
Ma quando si parla di democrazia dell’energia non ci si riferisce solamente alla libertà del cittadino di prodursi l’energia necessaria; il riferimento è anche al rapporto tra risorse naturali di un paese, il suo progresso economico ed il suo livello di democrazia.
Due autori (Sachs e Warner) tra il 1995 ed il 2001 hanno studiato il rapporto tra le risorse naturali di un paese e la sua prestazione economica e hanno dimostrato l’esistenza di un rapporto negativo tra i due fattori: i paesi con abbondanza di risorse hanno goduto di un tasso di crescita minore rispetto ai paesi poveri di risorse. Di conseguenza, la loro ipotesi è che le risorse non siano tanto una benedizione per lo sviluppo economico quanto, piuttosto, una maledizione, che limita la crescita e il progresso socio-economico. Diversi sono gli elementi che sembrano dar ragione a queste teorie. I paesi ricchi di risorse naturali crescono in media più lentamente rispetto a quelli poveri di risorse (è la cosidetta maledizione delle risorse naturali). Tuttavia, ci sono alcuni paesi ricchi di risorse che sono cresciuti molto velocemente e per i quali le risorse naturali sono, al contrario, una benedizione. Questo fa sì che la prova non confermi un effetto unico delle risorse sullo sviluppo/crescita (vedi Robinson et al, 2006). L’analisi teorica ed empirica si è allora focalizzata sulle ragioni per cui le risorse naturali sono una benedizione in alcuni paesi e una maledizione in altri. I fallimenti politici sono stati identificati come le cause principali: la qualità delle istituzioni è un fattore decisivo nel determinare se le risorse naturali siano una benedizione o una maledizione (vedi Mahlum, Moene e Torvik, 2006). I risultati empirici suggeriscono anche una causalità inversa: le risorse naturali hanno proprietà antidemocratiche: la ricchezza di petrolio e minerali tende a rendere i paesi meno democratici (vedi Ross, 2001) e molte rivoluzioni sono legate alle rendite derivate dalle risorse naturali (vedi Collier e Hoeffler, 1998 e 2005). Cosa spiega la maledizione? In primo luogo, un boom di risorse naturali (come la scoperta di un nuovo bacino petrolifero), con i suoi potenti effetti sulle esportazioni, porta a una sopravvalutazione della valuta nazionale. Nello stesso tempo, il grande afflusso di entrate nel paese incoraggia la domanda interna e avvia pressioni inflazionistiche, particolarmente per i beni non commerciali. Entrambi i fenomeni tagliano fuori i settori commerciali, nei quali i profitti si riducono perché le vendite avvengono a prezzi internazionali dati, danneggiando, così, lo sviluppo complessivo del paese. Questa spirale stagflazionaria negativa è la cosiddetta “malattia olandese”. In secondo luogo, i paesi che si appoggiano sulle proprie risorse naturali possono, inavvertitamente o deliberatamente, non investire in risorse umane. Dal momento che, nelle economie contemporanee, queste rappresentano il carburante principale di una crescita sostenuta, i paesi ricchi di risorse naturali si trovano imprigionati nella trappola della povertà. In terzo luogo, come generalizzazione dell’argomento precedente, l’abbondanza di risorse naturali può dare ai cittadini e ai governi un falso senso di sicurezza, determinando la non-implementazione di politiche economiche efficienti, che incrementino la crescita. Inoltre, secondo Robinson et al. (2006) e Mehlum et al. (2006), l’impatto delle risorse sulla crescita dipende in modo cruciale dalla qualità delle istituzioni politiche e, in particolare, dal livello di corruzione del settore pubblico. Mehlum et al. mostrano che le differenze in termini di crescita economica tra i paesi ricchi di risorse è dovuta al modo in cui sono distribuite le rendite. Alcuni paesi hanno istituzioni che favoriscono i produttori e il reinvestimento delle rendite, mentre altri hanno istituzioni che, “arraffando amichevolmente”, deviano le scarse risorse imprenditoriali e umane, alla ricerca di una rendita del tutto improduttiva. Di conseguenza, l’abbondanza di risorse naturali si rivela, per un paese, una maledizione o una benedizione a seconda della qualità delle sue istituzioni. Tuttavia, in questo modello emerge un problema di endogenità, e anche la causalità inversa deve essere presa in considerazione: l’abbondanza di risorse può condurre governi e produttori a implementare la ricerca di rendita, portando, così, alla corruzione e a “istituzioni che arraffano amichevolmente”. In casi estremi, per evitare la redistribuzione della ricchezza prodotta, la ricerca di rendita può assumere la forma di governi autoritari.
M. Ross (2001) si chiede se il petrolio ostacoli la democrazia. Dal momento che Ross è uno scienziato politico e non un economista, egli non guarda all’interazione tra risorse e istituzioni nel determinare la prestazione economica di un paese, ma concentra la propria attenzione sul rapporto tra risorse naturali (prima di tutto energetiche) e democrazia. Inoltre, egli cerca di individuare delle prove da confrontare con le diverse teorie articolate per dare ragione di quel rapporto. Secondo Ross, queste teorie possono essere divise in due categorie: quelle che suggeriscono che la ricchezza prodotta dal petrolio porti i governi a ridimensionare il loro intervento di promozione dello sviluppo economico (attraverso politiche educative inefficaci, corruzione, ecc.) e quelle che suggeriscono che la ricchezza generata dal petrolio renda i paesi meno democratici. In secondo luogo, la sua analisi si sviluppa a ridosso di due dimensioni distinte: da una parte, quella geografica, rispetto alla quale cerca di verificare se non vi sia un nesso causale tra la prestazione (non) democratica di particolari gruppi di paesi e le loro specifiche caratteristiche culturali e storiche (come, ad esempio, il Medio Oriente e la sua cultura islamica); dall’altra, la dimensione settoriale, con la stima degli effetti generati dai diversi tipi di risorse primarie. Ross individua tre meccanismi causali fondamentali che possono spiegare il legame tra ricchezza di risorse energetiche e governo autoritario:
a) L’effetto rendita - I paesi ricchi di gas, petrolio o altre risorse naturali traggono molte delle proprie entrate da tasse sui bolli, sui diritti o sulle esportazioni. Queste attività orientate alla ricerca di rendita possono essere destinate a un alleggerimento della pressione fiscale, che, altrimenti, potrebbe determinare una richiesta di maggiore responsabilità. Questo può verificarsi in tre modi. In primo luogo, attraverso un effetto tassazione. Dal momento che i governi traggono sufficienti entrate dal petrolio o da altre risorse, non hanno bisogno di imporre budget rigidi e/o tasse pesanti sui cittadini e, in questo modo, ridimensionano il controllo sull’attività di governo e rendono la pacificazione fiscale più efficace. In secondo luogo, attraverso un effetto spesa, per cui le entrate derivate dal petrolio possono essere (almeno parzialmente) usate per spese generali e per il patronato, in modo da attenuare le latenti pressioni per la democratizzazione. In terzo luogo, attraverso un effetto di formazione di gruppo: i governi possono usare il loro denaro per corrompere o prevenire la formazione di gruppi sociali indipendenti, che potrebbero tendere alla rivendicazione di diritti politici.
b) L’effetto di repressione - Questa storia (dal carattere marcatamente politico) si sviluppa come segue: la ricchezza generata dal petrolio può indurre i governi a spendere di più per la sicurezza interna, bloccando, così, le aspirazioni democratiche della popolazione. A un governo che abbia più denaro a disposizione costa meno essere autoritario, per evitare di condividere la propria rendita con la popolazione. Questa tesi trova corrispondenza nei risultati raggiunti da Collier e Hoeffler (1998), secondo i quali l’abbondanza di risorse naturali aumenta la probabilità di guerre civili, dal momento che il beneficio atteso dalla vittoria è più alto per i diversi azionisti (governi, opposizioni, partiti politici, gruppi etnici, oligarchie).
c) L’effetto di modernizzazione - La democrazia deriva da un insieme di cambiamenti politici ed economici che includono la specializzazione occupazionale, l’urbanizzazione e alti livelli di istruzione. Nessuno di questi cambiamenti si verifica facilmente in un paese caratterizzato dall’abbondanza di risorse: la forza lavoro è intrappolata nel settore energetico e non si sposta verso quello manifatturiero e dei servizi, i cittadini non sono costretti a muoversi verso le città e il fatto che non vi siano necessità economiche riduce lo sforzo di investire in capitale umano. Come effetto collaterale, è noto che la pressione democratica è inferiore quando ci sono cittadini meno istruiti e l’effetto, dunque, si rafforza. I risultati dell’analisi empirica di Ross sono coerenti con la teoria e possono essere sintetizzati come segue: in primo luogo, il petrolio e gli altri combustibili fossili (gas, carbone) danneggiano la democrazia. In secondo luogo, le risorse energetiche la inibiscono nei paesi poveri, mentre nei paesi ricchi questo legame non è statisticamente rilevante. In terzo luogo, questo legame non è una caratteristica esclusiva dell’Estremo Oriente, ma risulta valido a livello globale. In quarto luogo, tutte le risorse, comprese le ricchezze che non derivano dai combustibili fossili, ostacolano la democrazia. In quinto luogo, i canali presentati sopra, ovvero l’effetto rendita, l’effetto di repressione e quello di modernizzazione, sono supportati solo da una debole dimostrazione.
Alla fine di questa lunga analisi le mie conclusioni sono le seguenti:
1) I Governi mondiali non stanno investendo a sufficienza nelle energie rinnovabili ma sono ancora legati a filo doppio alle energie fossili e al nucleare;
2) I Governi non vogliono rendere DEMOCRATICO l’uso dell’energia; vogliono invece mantenere il controllo su noi cittadini trasferendo il potere dagli oligarchi delle energie fossili a quelli del nucleare;
3) Non basta lottare per le energie rinnovabili come sole e vento, occorre anche battersi per il decentramento energetico, perchè ogni cittadino possa produrre “con le proprie mani” l’energia che vuole, creando un nuovo modello di produzione energetico (generazione distribuita di energia) che soppianti quello attuale che è di tipo accentrato, non flessibile e costoso;
4) La rete elettrica deve trasformarsi gradualmente da rete "passiva", in cui l'elettricità semplicemente scorre dal luogo di produzione a quello di consumo, a rete "attiva" e "intelligente" (smart grid) che gestisce e regola più flussi elettrici che viaggiano in maniera bidirezionale;
5) I paesi con abbondanza di risorse hanno goduto di un tasso di crescita minore rispetto ai paesi poveri di risorse; quindi le risorse naturali non sono una benedizione per lo sviluppo economico di un paese ma una maledizione che limita la crescita e il progresso socio-economico (maledizione delle risorse naturali);
6) La qualità delle istituzioni (e il suo livello di corruzione) è un fattore decisivo nel determinare se le risorse naturali siano una benedizione o una maledizione. I risultati empirici suggeriscono anche una causalità inversa: le risorse naturali hanno proprietà antidemocratiche: la ricchezza di petrolio e minerali tende a rendere i paesi meno democratici e molte rivoluzioni sono legate alle rendite derivate dalle risorse naturali;
7) Per tutte le ragioni esposte le risorse naturali non devono essere considerate un bene di proprietà del paese in cui si trovano ma un bene dell’umanità esente da possibilità di profitto o speculazione.