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mercoledì 23 febbraio 2011
DAL LABORATORIO DEI MERCATI FINANZIARI - Crisi libica, crescita economica ed Eni..
Negli ultimi giorni, come è accaduto in momenti di tensione sui mercati finanziari, la mail del mio blog si è riempita di decine di richieste di approfondimento da parte degli amici lettori. Ovviamente, poiché non posso rispondere a tutti per questioni di tempo, proverò a scrivere questo post per addentrarmi tra le pieghe della crisi libica e cercare di capire quali potrebbero essere gli impatti sulla ripresa economica in atto. Ci tengo a precisare però che non vorrei che il mio post risulti freddo e spietato, in un momento in cui migliaia di persone stanno morendo combattendo contro uno spietato dittatore. Al popolo libico va, al di la di tutto, tutta la mia solidarietà.
Tornando invece agli aspetti economici della faccenda, ovviamente, la mia memoria va alle precedenti crisi petrolifere e in particolare a quelle dei primi anni settanta e ottanta. La prima domanda che mi avete posto è se un aumento dei prezzi del petrolio (causato in questa situazione proprio dai disordini in Libia) può causare una ricaduta nella recessione globale. La regola base che proviene da molti modelli di tipo econometrico che ho studiato e dall’esperienza del passato (che è quella più importante!) è che una salita del 20% dei prezzi toglie circa un punto percentuale alla crescita mondiale. Ma questa affermazione è troppo semplicistica! La realtà è che l’effetto finale di una variazione nei prezzi del petrolio dipende dal comportamento di consumatori e produttori di petrolio e pertanto è difficilmente prevedibile. Non solo, in un contesto come quello attuale, l’effetto dipende da paese a paese; così, un aumento dei prezzi del greggio peserà maggiormente nei paesi dove l’inflazione headline è già alta (come nel Regno Unito).
La seconda questione che mi avete chiesto di trattare è l’impatto su uno dei titoli più importanti del nostro listino: Eni (perché è la major più esposta nel Nordafrica). Come sapete, la crisi libica ha comportato la chiusura temporanea del gasdotto GreenStream, attraverso il quale arriva normalmente in Italia il gas per soddisfare circa il 10% circa dei consumi nazionali. In realtà, pur restando l'incertezza legata all'esposizione del gruppo al Nordafrica e al Medioriente e quindi ai timori di un contagio della crisi anche ad altri paesi, paradossalmente Eni, se lo stop in Libia non dovesse durare a lungo, potrebbe anche avvantaggiarsene in termini di margini perché il prezzo del petrolio è salito in questi giorni. Tuttavia a preoccupare gli investitori in questo momento è la variabile tempo. Per quanto tempo, infatti, Eni sarà costretta a non utilizzare il gasdotto dal quale sono transitati 9,4miliardi di metri cubi di gas nel 2010, l'11% dei consumi nazionali, pari a una produzione annuale di olio equivalente di 240.000 barili al giorno?
Oggi ero al telefono con un analista del settore Oil che mi raccontava come calcolare in questo momento l'impatto della crisi libica sui conti dell'Eni, sia molto difficile; secondo questo analista l'impatto potrebbe essere pari all'6-8% dell'Ebit del gruppo, se si assume che non arrivi più petrolio e gas dalla Libia almeno per un anno. Ovviamente si tratta di uno scenario molto pessimistico. A livello tecnico e da umile operatore di mercato valuterò un ingresso in Eni se i corsi dovessero raggiungere area 16euro ma avendo sempre nella tasca uno stop loss!
Tornando invece agli aspetti economici della faccenda, ovviamente, la mia memoria va alle precedenti crisi petrolifere e in particolare a quelle dei primi anni settanta e ottanta. La prima domanda che mi avete posto è se un aumento dei prezzi del petrolio (causato in questa situazione proprio dai disordini in Libia) può causare una ricaduta nella recessione globale. La regola base che proviene da molti modelli di tipo econometrico che ho studiato e dall’esperienza del passato (che è quella più importante!) è che una salita del 20% dei prezzi toglie circa un punto percentuale alla crescita mondiale. Ma questa affermazione è troppo semplicistica! La realtà è che l’effetto finale di una variazione nei prezzi del petrolio dipende dal comportamento di consumatori e produttori di petrolio e pertanto è difficilmente prevedibile. Non solo, in un contesto come quello attuale, l’effetto dipende da paese a paese; così, un aumento dei prezzi del greggio peserà maggiormente nei paesi dove l’inflazione headline è già alta (come nel Regno Unito).
La seconda questione che mi avete chiesto di trattare è l’impatto su uno dei titoli più importanti del nostro listino: Eni (perché è la major più esposta nel Nordafrica). Come sapete, la crisi libica ha comportato la chiusura temporanea del gasdotto GreenStream, attraverso il quale arriva normalmente in Italia il gas per soddisfare circa il 10% circa dei consumi nazionali. In realtà, pur restando l'incertezza legata all'esposizione del gruppo al Nordafrica e al Medioriente e quindi ai timori di un contagio della crisi anche ad altri paesi, paradossalmente Eni, se lo stop in Libia non dovesse durare a lungo, potrebbe anche avvantaggiarsene in termini di margini perché il prezzo del petrolio è salito in questi giorni. Tuttavia a preoccupare gli investitori in questo momento è la variabile tempo. Per quanto tempo, infatti, Eni sarà costretta a non utilizzare il gasdotto dal quale sono transitati 9,4miliardi di metri cubi di gas nel 2010, l'11% dei consumi nazionali, pari a una produzione annuale di olio equivalente di 240.000 barili al giorno?
Oggi ero al telefono con un analista del settore Oil che mi raccontava come calcolare in questo momento l'impatto della crisi libica sui conti dell'Eni, sia molto difficile; secondo questo analista l'impatto potrebbe essere pari all'6-8% dell'Ebit del gruppo, se si assume che non arrivi più petrolio e gas dalla Libia almeno per un anno. Ovviamente si tratta di uno scenario molto pessimistico. A livello tecnico e da umile operatore di mercato valuterò un ingresso in Eni se i corsi dovessero raggiungere area 16euro ma avendo sempre nella tasca uno stop loss!
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